Formazione 2009-2010

Incontro finale del 28 giugno

Il 28 giugno 2010, la fraternità TOM di Sambiase si è riunita nella Chiesa di S Francesco da Paola per la recita del Rosario, dei Vespri e partecipare alla S Messa di ringraziamento a conclusione dell’anno sociale alla scuola del nostro Padre Fondatore.
L’assistente Spirituale P Aldo Imbrogno ha celebrato l’Eucarestia della festa dei Santi Pietro e Paolo.
Nell’omelia ci ha esortati a imitare questi due grandi pilastri della Chiesa, nella radicalità della risposta alla Chiamata di Dio: “Mi ami tu più di costoro?”
La Chiamata è innamoramento, e si deve amare l’innamorato/a più di tutti gli altri; se abbiamo Cristo nel cuore, possiamo darLo agli altri.
Pertanto, da terziari minimi, dobbiamo stare con gli altri, secondo gli insegnamenti della Parola e dell’esempio di S Francesco, nel modo giusto, avere a cuore di restare saldamente legati a Cristo, mentre il nostro cammino si sviluppa nel tempo, in attesa dell’eternità.
“Il Cristiano, per amare, deve fare come Dio, non aspettare di essere amato, ma amare per primo” (Chiara Lubich.)
Con l’inno al Santo Glorioso l’assemblea si è congedata.

Tina Di Cello

Incontro del 14 giugno

Alle 18.30 con la recita dei vespri si è dato inizio all’incontro-di fraternità.
Il Correttore di fraternità ha rivolto i saluti e i ringraziamenti all’assemblea per la riconferma nell’incarico, raccomandando l’osservanza dello spirito minimo
L’assistente spirituale P. Aldo Imbrogno ha presentato il nuovo consiglio all’assemblea, illustrando le deleghe di ogni componente.

Tonino Mamertino Presidente.
Gennaro Calidonna Segretario.
Gisella Leone Delegata alla Formazione.
Concetta Cerra Delegata all’Economia.
Tina Di Cello Delegata stampa.
Maria Piera Liparota coordinatrice dei delegati di zona.

Il Padre Assistente ha riproposto che la conduzione della fraternità è collegiale e canonicamente rende corresponsabili tutti i membri del Consiglio, e la collaborazione delle consorelle e dei confratelli in ogni ambito concorre a operare in perfetta comunione per realizzare le attività programmate.
Ognuno deve testimoniare lo spirito di unione d’intenti e azioni secondo il carisma minimo, illuminati dalla Parola, dalla Preghiera e dall’esempio del nostro Padre Fondatore.
Perché Comunità, e Famiglia Minima, dobbiamo camminare insieme, perché è così che raggiungeremo la promessa della felicità eterna, ognuno chiaramente vivendo la propria storia nello stato e nel suo ambiente, avvantaggiando l’incontro con il Signore in comunione con tutti i fratelli senza se…e senza ma…, incondizionatamente, onde meritare il giudizio: “BENE SERVO BUONO E FEDELE, PRENDI PARTE ALLA GIOIA DEL TUO PADRONE” (Mt.25,21.)
Con la preghiera di ringraziamento l’incontro ha avuto termine alle 19.30

Tina Di Cello

Incontro del 26 aprile

Questa sera, alle ore 19,30, tutti i terziari si sono riuniti nella chiesa di San Francesco di Paola, per il consueto appuntamento di preghiera comunitaria, che si svolge ogni ultimo lunedì del mese.
La preghiera, condotta come sempre dal Padre assistente della fraternità ha riunito tutti in un momento di Adorazione Eucaristica e di grande riflessione su un brano evangelico in cui è riportata la preghiera che Gesù innalzò al Padre prima dell’ultima cena. Il brano diviso in tre parti è stato letto e meditato, intervallato da canti eucaristici, momenti di silenzio e meditazioni silenziose. La preghiera si è conclusa con la riflessione sul passo evangelico da parte di Padre Aldo Imbrogno.

Elisabetta Mercuri

Incontro del 19 aprile

Alle 18,30 inizia l’incontro di formazione con la preghiera, subito dopo Elisabetta Mercuri relaziona sul primo capitolo della Regola, i “Comandamenti”.
L’argomento di questa sera è l’approfondimento del 1 cap. della Regola, il quale è interamente dedicato ai Comandamenti che rappresentano la prima via di conversione della Regola, seguono poi la 2^ sulla preghiera, la 3^ sulla penitenza e la 4^ sulla vita fraterna. San Francesco così ci indica le quattro vie di conversione fondamentali per raggiungere la santità; Lui che è stato un fedelissimo imitatore del Signore nella sua vita, dà l’occasione ai noi laici minimi di poter fare altrettanto. Il nostro è un cammino continuo e vigile e, con il suo esempio di vita e la Regola, dobbiamo impegnarci ad essere prima discepoli e successivamente apostoli, perché la nostra non è una fede da subire,ma è soprattutto quella del dare e del trasmettere.
Bisogna innanzitutto chiarire cosa sono i Comandamenti o, ancora meglio, qual è il senso dei Comandamenti
I Comandamenti non sono regole da imparare a memoria, ma vanno meditate una ad una e ognuna deve rappresentare un cammino di fede prima per noi poi, per trasmetterli agli altri.
Non sono un rosario monotono di divieti, perché sotto la proibizione apparentemente minacciosa, c’è un progetto di un’umanità morale e religiosa che spiega e riconosce il mistero Divino che non va inteso a proprio uso e consumo, ma che rispetta e scopre Dio come Persona; una persona che s’impegna nella società per salvaguardare alcuni beni:la vita, il matrimonio, la famiglia, la libertà, la dignità umana. Non sono precetti fermi lì, cristallizzati, ma piste di vita e guide nel percorso dell’esistenza; anche se sono imperativi assoluti e negativi, non cancellano la libertà dell’uomo, anzi la esaltano ponendola al centro delle decisioni personali. Esempio “Non uccidere, Non dire falsa testimonianza”, apparentemente sono espressione di una morale negativa, in realtà sono un appello alla pienezza e rispetto della vita, alla sua tutela e realizzazione; quindi il diritto di ogni persona al suo amore, alla sua dignità.
I Comandamenti sono formulati al negativo perché hanno la funzione di vietare dei comportamenti in modo netto, ma anche di stimolarne in forma altrettanto marcata l’aspetto positivo; infatti in essi si ritrovano i due e opposti metodi per limitare la libertà dell’uomo: il primo è la proibizione “Il non fare!”; il secondo è il comando “Devi fare!”. In pratica sono 10 “No” pronunciati in modo forte, marcato, che si trasformano poi in 10 “Si”nell’esistenza personale e sociale dell’uomo.
Quindi i C. non sono solo leggi fondamentali della religione cristiana, ma sono un impegno morale e religioso che riguardano le scelte etiche naturali di tutti gli uomini, in quanto rappresentano un progetto di vita legato all’universalità dell’uomo.
Tutto il Decalogo è una sintesi della morale naturale, cioè dell’essere uomini, della nostra coscienza e delle nostre relazioni personali e sociali.
I 10 C. enunciano le esigenze dell’Amore di Dio e del Prossimo e tutti insieme formano un’unità organica per cui trasgredire anche ad uno solo, vale ad infrangerli tutti.
Nella Regola al cap. 1° -” L’osservanza dei comandamenti di Dio e dei precetti della chiesa quale via della salvezza”, San Francesco inizia con le stesse parole che Gesù rispose al giovane che chiese: ” Cosa devo fare per ottenere la vita eterna?” Gesù rispose:<<Se vuoi entrare nella vita, osserva i Comandamenti>> (Mt.19,17). Così Francesco di Paola, fedelissimo imitatore di Cristo, ripete la stessa cosa a noi Laici Minimi.
Poi continua: ” Onorare l’unico Dio e ad amarlo con tutto il cuore, la mente e le forze; qui viene citato il 1° C.:” Non avrai altri dei all’infuori di me!”.
Questo Comandamento è il sostegno, la base, l’interpretazione degli altri nove. Questa negazione di avere un solo Dio, non è una dichiarazione egoistica che impone di non avere altri dei o inferiori o paralleli, è invece una dichiarazione d’affetto, di adesione amorosa (come ha dimostrato al suo popolo d’Israele per averlo fatto fuggire dall’Egitto), che vuole essere vicino all’uomo, amico, ricco di aiuto. Il nostro dovere è: Amare Dio con tutto il cuore, l’anima e le forze, credere in Lui, adorarlo, pregarlo e amarlo al di sopra di tutto. Questo C. è negativo per coloro i quali antepongono altri dei nella loro vita: potere, denaro, sfruttamento superstizione, magia e tutta l’indifferenza in cui vive la società del benessere, in cui Dio non viene più neanche combattuto o cancellato, ma proprio dimenticato e ignorato.
Al punto 2 della Regola San Francesco cita il secondo comandamento:”Non nominerete mai invano il nome santo di Dio”.
Bisogna rispettare il Suo nome perché è Santo e va custodito nella memoria in un silenzio di adorazione; più che nominare il Suo Nome dobbiamo testimoniarlo con la fede senza paura.
Il primo divieto quindi è l’abuso del nome di Dio, la bestemmia. Quel che non si capisce è che l’ingiuria (contro il nome di Dio) è espressione di rabbia, d’impotenza e di volgarità. La nostra società oggi è caratterizzata da una grande forma di volgarità, non solo nelle maniere e nel linguaggio, ma anche nel modo che essa ha di offrire un’immagine di se stessa, non lo nasconde, anzi ne è molto soddisfatta.
Al punto 3 della Regola San Francesco ci richiama al 3° C. “Ricordati di santificare le feste”
Il verbo imperativo: “Ricordati” anche qui non è un’imposizione, ma un invito al cristiano di non dimenticare di gustare il ” tempo di Dio, il suo riposo di pace e di luce (Dio nella creazione del mondo il settimo giorno si riposò). Il 7°giorno fornisce all’uomo un assaggio di Eternità attraverso la preghiera,il silenzio e la contemplazione; è simbolo di comunione con l’Eterno, l’Infinito di Dio
Il punto 4 della Regola si rifà al 4° C. “Onora il padre e la madre”
Questo C. non inizia con un divieto, ma è espresso in forma positiva. Il verbo “ONORARE” ha un valore specifico che va oltre l’obbedienza o il vago rispetto, lo stesso verbo viene usato per esprimere la venerazione nei confronti di Dio (Reg. cap. 1° “Onorare con devota reverenza l’unico Dio ecc.”). Tra l’altro “onorare” è inteso anche come “onorario”nel senso che bisogna provvedere ai genitori vecchi, garantire loro il sostentamento, il necessario per vivere e, alla loro morte un’onorevole sepoltura..
In questo C. va fatta un’interpretazione sociale che vede nei genitori il simbolo di tutte le relazioni familiari, comunitarie e dell’intera vita sociale e politica
Sempre al punto 4 San Francesco fa riferimento al 5° C. ” Non uccidere”. Questo è il vero comandamento imperativo, perché in esso si esalta la sacralità della vita umana.
Ciò che condanna questo C. è l’azione violenta su un soggetto privo di difesa. Il valore di questo comandamento riguarda la vita dell’uomo, la sua salute fisica, psichica e spirituale che sono beni preziosi donati da Dio e, soltanto lui può togliere come e quando vuole. Sono da condannare innanzitutto:l’aggressione, l’ingiustizia e l’oppressione considerati atti violenti in quanto finalizzati non a punire, ma a bloccare, ad annientare completamente la persona sia fisicamente sia verbalmente e,quando succedono queste cose, vuol dire che è presente il seme velenoso dell’odio.
Oggi viviamo in un mondo che si orienta negativamente verso soluzioni di morte, di violenza di prevaricazione.
Il 6° C. “Non commettere atti impuri”esplicita chiaramente “il cosa non fare”, quindi evitare categoricamente quei comportamenti che recano danno alla persona, alla sua dignità.
Nella sua negazione del “non commettere” viene esaltato invece l’aspetto positivo dei diritti e della dignità della persona. Nella Regola al punto 4 San Francesco ci vuole tutori dei diritti e della dignità delle persone oltre che maestri esemplari di amore e di rispetto.
Con il 7 C. “Non rubare” si chiude il 1° Cap. della Regola
In questo comandamento si manifesta ancora ed in particolare il senso della libertà dell’individuo. Il dono della libertà inizia già dalla creazione e i beni della Creazione appartengono a tutti il genere umano. Chi ruba ferisce ed umilia la dignità della persona.
L’8 C. ” Non dire falsa testimonianza” vieta di falsare la verità di noi stessi,degli altri e dei fatti nella vita di relazione. Questo Com. è decisivo per la correttezza delle relazioni sociali, per la tutela della dignità di una persona. La calunnia è un comportamento contrario alla fedeltà e alla fede; è un contegno aggressivo, distruttivo della comunità. Nella società, oggi, la maldicenza ed il pettegolezzo sono nella quotidianità, quindi alberga in noi anche quando si vuole evitare.
Il 9 ed il 10 C: ” Non desiderare la donna e la roba degli altri” sono accomunati dallo stesso comando “il non desiderare ciò che non ci appartiene.” Anche se gli oggetti del desiderio sono diversi, implicano tutti e due un desiderio, un volersi impossessare di ciò che non ci appartiene. Qui si viola il diritto di proprietà di una persona e dei beni materiali altrui; inoltre il forte desiderio porta poi all’invidia che può condurre l’uomo ai peggiori misfatti.
Dopo aver analizzato tutti i comandamenti possiamo concludere quanto essi mettono in evidenza ” l’Amore – verso Dio e verso il prossimo”.Non si può amare Dio e non amare le persone che lui ha creato; né tanto meno si può amare l’uomo e non amare Dio che ne è il Creatore. Deve esserci l’amore verso il Creatore che ci ha concesso i beni, ed il rispetto e l’amore verso il prossimo con il quale condividiamo questi beni nel nostro soggiorno sulla terra.
Tutti i C. si possono raggruppare nell’ unico comandamento detto: ” Il Comandamento Nuovo”, nel senso che Gesù ha detto: “Vi do un comandamento nuovo: Che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi, anche voi amatevi gli uni gli altri” (Gv. 13,34). La novità del C. è racchiusa nell’avverbio “COME”siamo stati amati da Dio, allo stesso modo dobbiamo amare il prossimo e le modalità principali sono che Lui ci ha amati per Primo (quindi dobbiamo sempre prendere l’iniziativa anche da coloro che si riceve il male);Gratuitamente (Dio ci ama senza avere nulla in cambio, quindi dobbiamo amare senza secondi fini o particolari interessi); Universalmente (non ci sono condizioni di razza, di religione o di sesso all’amore di Dio; Eroicamente ( nessuno ha un amore più grande di Gesù che ha dato la propria vita per noi).
Infine possiamo prendere esempio da San Francesco che ha saputo attuare questa duplice dimensione dell’Amore, verso Dio e verso il Prossimo, con la virtù della carità. Verso Dio egli ha praticato le virtù teologali della fede, speranza e carità; verso il prossimo egli ha praticato le virtù cardinali della prudenza, giustizia, fortezza e temperanza e delle altre virtù morali che non possono essere praticate se alla base non c’è Carità-Amore.

Elisabetta Mercuri

Incontro del 12 aprile

Dopo la consueta preghiera comunitaria il presidente comunica ai presenti che il 15 Maggio ci sarà la giornata della fraternità, per cui invita tutti i terziari a partecipare.
Subito dopo prende la parola il padre assistente, Padre Aldo Imbrogno per esporre alcune riflessioni su: ” Episodi della Pasqua”, in particolare tratta il brano evangelico di Luca 23- 12,35: “I discepoli di Emmaus”.
Gli evangelisti, in questo passo del Vangelo fanno una descrizione umana, non idealizzano, si presentano con i loro limiti, per dare importanza all’azione dello Spirito Santo.
L’azione di Gesù è semplice, umile, nascosta. Cristo si fa compagno di viaggio dei due che tornano sfiduciati ed umiliati per quanto era successo a Gesù e Lui, sicuro di non essere stato riconosciuto, cerca di entrare nel loro animo con domande di convenienza: ” Che fate?- Dove andate?”. I due si meravigliano che questi non sapesse niente di quanto era accaduto. Poi Gesù cerca di far recuperare loro la fiducia ed inizia a parlare di Mosè e dei profeti, facendo ricordare quanto era già stato scritto circa la sua vita e che quello che il Cristo aveva sofferto era una necessità, perché solo attraverso la morte in croce, il Cristo ci avrebbe salvato. Questa morte è la resurrezione, la vita di tutti noi cristiani.
10 Km e mezzo di cammino insieme ai due, per rinfrescare loro la memoria con la “Parola di Dio”. La parola di Dio ha l’efficacia di penetrare nei nostri cuori e trasformare la sfiducia e lo sconforto in serenità. Si arriva alla conoscenza di Gesù per un atto di amore, di ospitalità nel cuore.
L’ospitalità per gli ebrei era sacra. I due costringono Gesù a fermarsi anche nel loro villaggio e gli preparano da mangiare; poi Gesù fa tutto quello che aveva fatto in occasione dell’ultima cena:
” Prese il pane, lo spezzo e lo benedisse” ed è lì che i due lo riconoscono.
Attraverso l’Eucarestia,anche noi Lo riconosciamo. Ci si può allontanare per sfiducia, sconforto o stanchezza, ma poi riempirsi di gioia perché Lui vive in mezzo a noi . Quando non siamo in grado di riconoscerlo allora giunge la “Pedagogia della Parola di Dio” , da Mosè ai profeti e ci fa rivivere la comunione con Dio
I due, frastornati per quanto era successo, non potevano riconoscerlo, non erano sereni, ma hanno avuto la capacità di ascoltarLo, di ascoltare la Parola di Dio.
Questo ci fa capire che è quel che succede a noi. Gesù ci dà la possibilità di ascolto, ma spesso non vogliamo riconoscerlo.
Dopo qualche intervento di riflessione personale, con la preghiera termina l’incontro.

Elisabetta Mercuri

Incontro del 22 marzo

Dopo la consueta recita comunitaria dei Vespri alle ore 18,30, ha inizio la riunione di formazione condotta dal padre assistente padre Aldo Imbrogno; egli pone all’attenzione dei presenti il libro di Giona, brevissimo capitolo del vecchio Testamento che, dopo una rapida lettura, viene poi da lui commentato e anche reso attuale, rapportandolo al nostro vivere contemporaneo. Giona riceve da Dio il compito di recarsi a Ninive per profetizzare al popolo ninivita pagano, la sua imminente distruzione(entro quaranta giorni), se non si fosse pentito delle sue iniquità; Giona però, convinto che la salvezza debba essere elargita da Dio solo al suo popolo eletto e che ogni errore debba essere necessariamente punito, all’inizio non obbedisce, segue un itinerario opposto, rischiando anche la vita per il mal comportamento. Dopo tante vicissitudini, accettando finalmente di compiere la volontà del Signore, si reca a Ninive per annunciare la Sua Parola; il popolo ninivita, prendendo coscienza delle sue iniquità, si converte iniziando una vita di penitenza e Dio impietosito lo salva. Giona non gioisce di questa conversione, della salvezza concessa da Dio ad un popolo peccatore ma, prigioniero del suo egoismo, si adira con il Signore, sente che Dio é quasi ingrato nei suoi confronti e vorrebbe morire. Dio cerca di farlo ravvedere, ma la vicenda rimane nel libro in sospeso, rimane cioè il dubbio del suo effettivo convincimento. Una vicenda analoga la ritroviamo nel Nuovo Testamento: la parabola del figliuol prodigo o meglio del padre misericordioso,ved. Luca: 15, 11-32, dove il figlio maggiore si adira con il padre che accoglie con tutti gli onori, riabilitandolo alla sua dignità di uomo, il figlio minore ritornato a lui pentito dopo averlo rinnegato e sperperato stoltamente tutti i suoi averi. Il figlio maggiore, sdegnato e offeso per tanta magnanimità dimostrata nei confronti di di chi ha sbagliato e viceversa poca gratitudine nei confronti di chi gli é stato fedele, non vuole entrare a far festa, a gioire per il ritrovamento di colui che entrambi credevano perduto. Il padre cerca di fargli capire l’insensatezza del suo risentimento, e la motivazione della sua gioia, ma anche in questo caso, la vicenda rimane insoluta. Dio ci lascia riflettere sul suo significato. Questi due episodi, attualizzati nel nostro vivere, hanno insiti in essi importanti messaggi: Dio é un Dio d’amore per tutte le creature che ha creato; é padre di tutti, non è esclusività di nessuno; Cristo infatti nel Nuovo Testamento ce lo presenta come Padre Nostro, non come Padre Personale. Vero Padre Misericordioso, Dio chiama tutti alla salvezza, a divenire il suo popolo tramite una concreta conversione. L’appartenenza al suo popolo non é di sangue, quindi prerogativa solo del popolo ebraico, ma é di scelta di vita, rappresentata nel vecchio Testamento dalla circoncisione e nel nuovo Testamento dal Battesimo. Dio, nella sua infinita bontà, perdona sempre e accoglie con gioia i peccatori convertiti, risollevandoli alla dignità di Suoi Figli; noi, nel nostro vivere, ci lasciamo plasmare da questa Misericordia di DIO? O invece come Giona e il figlio maggiore della parabola del Padre Misericordioso, chiusi nel nostro egoismo, non riusciamo a vivere l’esperienza del perdono? Convinti che il male compiuto richieda sempre un risarcimento, una punizione e non sia conciliabile con una reintegrazione di chi l’ha perpetrato?

GISELLA LEONE

Incontro del 15 marzo

Alle 18,30 con la preghiera comunitaria dei vespri inizia l’incontro.
Stasera Rita Vincenti, delegata alla formazione, tratta la tematica “Conoscere e riflettere su alcune figure venerabili”, sempre secondo quanto suggerito dal Programma Nazionale .
La prima domanda che dobbiamo farci è: “Perché bisogna conoscere e venerare queste persone?” E’ molto importante, per noi terziari che abbiamo scelto di fare un cammino serio ed impegnativo come cristiani, conoscere la loro vita per capire che raggiungere buoni livelli di cristianità non è impossibile. I santi, i beati non hanno fatto niente di particolare nella loro vita; sono state persone semplici che hanno condotto la loro vita con umiltà dedicandosi non solo all’amore di Dio, ma all’amore verso il prossimo.
Tra questi il : “Servo di Dio – Padre Pio Delle Piane” -Religioso Sacerdote dei Minimi (ultimo in ordine dei tempi).
Il Delle Piane, nato Genova il 4-1-1904, era chiamato l’uomo di Dio e del popolo di Dio, sempre pronto e zelante nel compimento della volontà di Dio e nel servizio di grazia e carità al prossimo. Uomo di preghiera, intima, fervida e perseverante e di penitenza, assidua e nascosta. Fisicamente era molto fragile: longilineo, magro e quasi sempre pallido, sia per costituzione, sia per l’assidua ascesi; spesso si privava del necessario per poi dare ai poveri. Era umile e modesto, serio e riservato, quasi un introverso. In realtà aveva invece una grande carica di altruismo e socialità, arricchita da una grande carità; il suo sorriso era chiaro e sereno, rifletteva la sua pace interiore.
Pio di nome, piissimo di fatto, la preghiera era il respiro e l’alimento suo più cospicuo. Vi si dedicava nella quiete delle prime ore del giorno e delle ultime della notte e incitava tutti alla preghiera. Era di un umiltà e semplicità sconvolgente, si rivelò ben presto un vero apostolo di Gesù, lavorando con umiltà e instancabile nel soccorrere ricchi decaduti, ma in particolare si dedicava ai poveri.
Trascorse i suoi anni di gioventù impegnato nello studio assiduo e nella pratica religiosa e sacramentale. A 20 anni circa frequentava la chiesa parrocchiale del rione, dove conobbe i Minimi e il loro santo fondatore: San Francesco di Paola. Ammirazione prima, devozione poi lo portarono dalla simpatia alla scelta della loro vita e Regola, tanto che, giovanissimo, entrò nel convento dei Minimi: il Santuario di Gesù e Maria, alias di San Francesco di Paola, in Genova, e nel 1930 divenne sacerdote. Aveva una grande adorazione al Santissimo Sacramento e un gran culto alla Beata Vergine. Tante erano le sue virtù, ma quella che lo distingueva era l’umiltà. Il suo ministero sacerdotale era assorbito quasi interamente dalle confessioni, alle quali dedicava ore ed ore, anche perché numerosi erano i fedeli che si recavano da lui anche da lontano e lui non voleva deluderle. Se per i poveri era il padre e il benefattore, per tutte le anime era il sacerdote, il medico ,il fratello. La carità verso il prossimo era il suo carisma.
Era ammiratore e figlio devoto di padre Pio da Pietrelcina; quest’ultimo soleva chiamarlo “Padre Pio Altepiane o delle Vette”.
La Regola, la viveva in pieno e la imponeva agli altri. Visse i quattro voti dell’Ordine: obbedienza, castità, povertà e vita quaresimale, con devota fedeltà. Religioso esemplare. La pazienza, diceva non è un fatto naturale, ma una vittoria su stessi prima che sugli altri. Amava e sapeva farsi amare aveva un grande rispetto non solo per le persone, ma per tutte le cose del creato: luoghi, cose, persone. Tanti gli itinerari di pietà e di servizio, come ministro di carità, di grazia, preghiera e pace. Della Castità, si può dire che era giunto a non provare disagio alcuno in quel che concerne il campo della purezza, resogli tanto più agevole dalla sua assiduità alla preghiera, alla mortificazione, alla vita eucaristica ed alla filiale pietà mariana. Si riduceva all’essenziale, a iniziare dall’abito semplice; disinvolto e sollecito con quanti si rivolgevano a lui per l’amministrazione dei sacramenti, preghiere, consigli. I poveri erano i suoi prediletti e tutto raccoglieva per loro: dal menzionato caffè e biscotti che gli offrivano gli ospiti a quanto risparmiava di suo dalla mensa del convento. Adottò un regime strettamente quaresimale per tutta la vita. Le offerte che riceveva le destinava secondo la volontà degli offerenti che, conoscendo la sua missione, erano sempre destinati ai poveri. Per sovvenire i bisognosi era ormai definito “accattone per Cristo”, nel senso che”accattava”(questi i termini usati nel libro)tutto ciò che poteva essere utile: alimenti, vestiti e offerte in denaro e non bastava mai a soddisfare pienamente le necessità.
Se la testimonianza dell’amore per la salute delle anime, impegnò i lunghi anni della sua esperienza religiosa e sacerdotale, gli ultimi suoi anni furono segnati e improntati da una grande accettazione della malattia e del dolore. Sempre gracile per costituzione, tanti malanni e interventi ne avevano messo a dura prova la non robusta fibra, ma infine un improvviso freddo lo colse in aperto campo apostolico, il collasso graduale. Fu costretto a letto per la febbre alta per molto tempo. Fu questo l’inizio della prova e testimonianza del dolore che durò per tre lunghi ani. Non si ristabilì più, sebbene avesse qualche parentesi di miglioramento, nella quale fu accompagnato al Santuario della Madonna del Buon Consiglio ( devotissimo) a Genazzano, celebrando anche dinanzi alla venerata Effige. Dal primo momento della sua malattia fino alla letale conclusione fu tutto un calvario doloroso. Nonostante il peggioramento non mancavano le visite delle persone che nel silenzio cercavano parole o gesti di conforto e lui non faceva mai mancare un gesto, una benedizione che rincuorava tutti. Anche quando sembrava che il suo corpo avesse raggiunto la fine , se qualcuno si avvicinava e diceva :<<Preghiamo?>>, accennava di sì col capo.
Morì alle 20,30 del 12 Dicembre 1976, a 72 anni di età e 52 di vita religiosa.
Dopo aver ascoltato con interesse la vita di Padre Pio Delle Piane, segue qualche riflessione da parte dell’assemblea e, subito dopo con la preghiera, termina l’incontro.

Elisabetta Mercuri

Incontro dell’8 marzo

Dopo la preghiera comunitaria la consorella Gisella Leone relaziona sulla Regola del T.O.M., come previsto dal Programma Nazionale, la tematica di questa sera è: “Il Terziario Minimo, Profeta della Pasqua” .
Dio chiama ognuno di noi a vivere e a far vivere nel mondo il suo progetto di amore e di salvezza, in modi e situazioni diverse. Questo progetto è attuabile prima sulla terra e poi nell’al di là.
Egli infatti tramite lo Spirito, rende possibile l’incarnazione, manda Suo Figlio Gesù Cristo sulla terra, a prendere su di Sé il peccato dell’umanità e a morire crocifisso, per lavare la nostra colpa,per poi risorgere, donando a ciascuno di noi la possibilità di rinascere a vita nuova e quindi a convertirci. Gesù quindi, ha dovuto attuare il progetto di Amore del Padre e ha obbedito soffrendo fino all’estremo sacrificio, per il nostro bene, per la nostra salvezza. La sofferenza è pertanto parte integrante della storia dell’uomo, e le dà un senso. Anche noi, come Gesù siamo chiamati ad obbedire al progetto di Dio, abituandoci a morire a noi stessi per l’amore dell’altro. Gesù infatti ci dice : “Ognuno rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi vuol salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia, la salverà”.
E’ in questo contesto che il cristiano ed in particolare il laico minimo, è Profeta della Pasqua nel mondo in cui vive; proprio perché deve convertire i fratelli che incontra sul suo cammino, al mistero di Cristo glorioso divino ( ma con un trascorso umano) trafitto. Cosa significa morire a se stessi, rinnegare se stessi per amore dell’altro? Come possiamo attuarlo? Nel mondo attuale si vive al contrario di quello che è il progetto di Dio: prevalgono infatti l’individualismo, l’egocentrismo che portano a soddisfare sempre il nostro IO; le nostre azioni sono ordinate dal nostro egoismo, orgoglio, ambizione cupidigia, non curandoci dell’integrità e della salvezza dell’altro, in un clima di smarrimento morale, di annullamento del senso di peccato perché, per garantire le nostre pseudo- libertà, giustifichiamo anche l’illecito. E’ anche di moda l’affermazione:tutti fanno così, dobbiamo adeguarci; è chiaro che un mondo così, non ha futuro, non può dare pace, felicità. Morire a se stessi significa invece per ognuno di noi, aprirsi all’altro e orientare il proprio agire in famiglia, nel lavoro, nella vita sociale, secondo la nostra coscienza cristiana, alla riscoperta di valori come il rispetto,la comprensione, la solidarietà,il perdono. Ogni volta che noi non testimoniamo con la nostra vita, uno di questi valori, ci rendiamo complici del cattivo comportamento dell’altro, perché non gli diamo la possibilità di convertirsi tramite il nostro buon esempio. L’altro deve diventare il padrone della nostra vita, ma per nostra scelta. Vivere contro corrente questi valori comporta rinunce sul lato materiale, nel rispetto del carisma penitenziale della nostra spiritualità minima. Gesù ci dice in Matteo (6,19-21-23): “Non accumulate per voi tesori sulla terra, dove tarme e ruggine consumano e dove ladri scassinano e rubano; accumulate invece tesori in cielo, perché dove è il tuo tesoro, là sarà anche il tuo cuore”. Cercate il Regno di Dio e la sua giustizia e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta”. Ancora in Giovanni (2,15): “Non Amate il mondo, né le cose del mondo; se uno ama il mondo, l’amore di Dio Padre non è in lui”. Nella nostra Regola, cap. IV, San Francesco ci avverte: “Sono senza dubbio felici coloro i quali pensano più ad una vita virtuosa che ad una lunga e più ad una coscienza pura che ad un forziere pieno”. Una testimonianza concreta di queste rinunce con la propria vita, secondo il carisma penitenziale del nostro Santo Fondatore, non come persone succubi, ma per scelta, potrà essere luce per gli altri, avvicinandoli a Cristo. E’ questo un cammino molto difficile, di ascesi, che richiede una serie di esercizi di tipo spirituale e a volte anche fisici: accenniamo alla pratica del digiuno che tempra il corpo; alla preghiera, vissuta come contemplazione, come vera ricerca di Dio e quindi forza rigenerativa nello Spirito, preghiera che per il laico minimo, deve trovare il giusto posto, nel rispetto dei ritmi delle sue attività secolari; alla Liturgia, soprattutto alla Liturgia Eucaristica che facendoci rivivere durante la Messa, la dolorosa passione di Cristo e la sua Resurrezione, ci renderà più forti e saldi nell’osservanza dei Comandamenti di Dio. Nella Santa Regola al cap. III, par. 10, San Francesco ci dice: “La morte preziosa di Cristo diventi vita per voi, il suo dolore vostra medicina e la sua fatica riposo, che nulla potrà distruggere”.
Alle 19,30 con la preghiera termina l’incontro.

Elisabetta Mercuri

Incontro del 1 marzo

Dopo la recita comunitaria dei Vespri il padre assistente, Padre Aldo Imbrogno, prende in mano la lettera del Rev.mo P. Correttore Generale O.M. P. Francesco Marinelli, sul tempo quaresimale, inviata a tutte le fraternità. Inizia a leggere e a commentare.
Il contenuto della lettera è un’esortazione per tutti noi a vivere la Quaresima come “Dono” e “Tempo di Grazia” e mette in evidenza lo “spirito” con cui dobbiamo viverla.
E’, questo, un periodo forte di riflessione, di penitenza e di preghiera per rinnovare la nostra fede e il nostro amore al Padre, e in Cristo, la nostra radicale ed esclusiva fedeltà come cristiani e terziari che vivono alla scuola di Francesco di Paola.
Alla base di tutto deve esserci la presenza dello Spirito Santo, al quale dobbiamo abbandonarci per lasciarci guidare nel deserto quaresimale e riaffermare, nell’ascolto della Parola e nella preghiera, la nostra identità per non conformarci ai tempi e ai fenomeni che caratterizzano la società di oggi: l’omologazione e l’indifferentismo.
L’indifferenza ci porterebbe a restare chiusi nella corazza delle nostre certezze, a limitarci o a subire passivamente i continui cambiamenti, venendo meno allo Spirito e all’intuizione del Fondatore.
Il cristiano, il terziario deve rappresentare sicurezza per gli altri, deve propagandare la salvezza: “La Parola di Dio”, (nella lettera il terziario viene definito “sentinella in mezzo al popolo”).
E’ importante ricordare la missione evangelizzatrice esercitata dal nostro Fondatore in Italia prima e in Francia dopo; gli ammonimenti di fronte alle ingiustizie.
Nell’incontro con la gente che andava a trovarlo, Francesco avverte l’impegno di accogliere nel cuore e nella sua preghiera le tante necessità dei fratelli, dando a tutti grande conforto. Il ministero della consolazione esercitato da Francesco non è affatto un atto paternalistico, quanto un entrare nel cuore del fratello per ridare speranza e restituire la gioia.
E’quanto mai urgente ridare anima alla nostra vita fraterna in comunità, al dialogo come nuova espressione della carità, riempire la nostra vita di preghiera ridare freschezza ai contenuti della Penitenza evangelica, espressa nel voto di Vita quaresimale,
Come incarnare l’annuncio della Penitenza evangelica, in paesi come l’India, le case dell’America latina, che già vivono in condizioni di povertà, o in situazioni culturali che affondano le radici in tradizioni lontane? Come parlare di ascesi, nel senso di mortificazione, privazione a chi è già “condannato” dalle necessità della vita? Anzitutto deve esserci la condivisione della sofferenza, finalizzarla alla riabilitazione della persona umana.
Il Vangelo , la Regola, devono essere incarnati a seconda le diverse realtà e situazioni.
Dalla Quaresima il Fondatore prende i contenuti e la sostanza della vita ascetica. Infatti, come nella Chiesa, questo tempo è un segno di impegno forte e di richiamo agli esercizi spirituali (preghiera, digiuno, opere di carità) per tutto il popolo di Dio, per il Minimo i punti indicati nella Regola e nelle Costituzioni sintetizzano il cammino spirituale del terziario come un cammino di profonda conversione, di preghiera, di sensibilizzazione alla carità fraterna.
La Penitenza, infatti, senza gesti concreti di perdono, di dialogo, di condivisione è nulla.
Il cammino penitenziale, nella visione di Francesco, deve essere compiuto nella gioia perché dispone l’animo all’attesa certa dell’incontro con il Risorto. E’in questa visione di attesa gioiosa dell’incontro, di Pasqua-Risurrezione che devono essere inquadrati e vissuti i segni e le modalità penitenziali, poiché esprimono esteriormente il cammino di purificazione e di libertà interiore.
L’ascesi fisica richiesta al Minimo è espressione concreta del carisma della penitenza, è il mezzo per rendere più spedito il cammino di perfezione, rende lo spirito vigilante, favorisce la continua liberazione dalla logica mondana: pensieri cattivi, libertinaggio, idolatria, stregonerie, inimicizie, discordie, gelosia, dissensi, divisioni, fazioni, invidie, ubriachezze, per acquisire la vita nello Spirito i cui frutti sono: amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé. Per Francesco la Penitenza evangelica è un continuo cammino ascensionale e di abbandono.
Il digiuno rimane un mezzo ascetico per il raggiungimento della perfezione: “il digiuno corporale purifica la mente, sublima i sensi, sottomette la carne allo spirito, rende contrito ed umiliato il cuore, estingue gli ardori della libidine, e accende il fuoco della castità”.
La sobrietà del cibo, nella prescrizione della Regola, è vista più che nell’aspetto mortificatorio, nei suoi contenuti positivi in ordine alla vigilanza del cuore.
Mentre ci è richiesta la sobrietà nel cibo, altrettanto ci viene suggerito di nutrire lo spirito: “mentre il corpo si rifocilla, l’anima si nutra di continuo con la lettura spirituale” (Reg I, cap IX, 32). Sono richiamati i contenuti spirituali del digiuno che comporta: tempi di calma per dedicarsi all’ascolto della Parola, rinuncia alla fretta, esame delle proprie reazioni, rinuncia ai giudizi affrettati e alle chiacchiere su altri.
La Quaresima ci liberi come singoli e comunità da timori, ansie, paure per incamminarci con umiltà nel deserto praticato da Francesco, e alla sua scuola, nell’ascolto della Parola e nella meditazione del Mistero Pasquale.
Alle 19,30 con la preghiera comunitaria termina l’incontro.

Elisabetta Mercuri

Incontro del 22 febbraio

Lunedì, 22Febbraio, alle ore 19,30, i Terziari si sono riuniti,nella chiesa di San Francesco di Paola, per condividere un momento di preghiera comunitaria.
La preghiera, condotta da Padre Aldo Imbrogno, ha visto i presenti riuniti in un momento di Adorazione Eucaristica e di riflessione sulla preghiera del “Padre Nostro”.
La preghiera , suddivisa in otto parti, ha dato modo di meditare le varie parti della preghiera.
<<Padre Nostro che sei nei cieli>>La preghiera comincia con il vocativo <<Padre>>in modo semplice e diretto carico di affetto e di tenerezza, come ognuno di noi vorrebbe rivolgersi al proprio padre terreno; la specificazione <<che sei nei cieli>>fornisce un’importante precisazione:Lui è il Padre celeste, non terreno! Quindi si ricorda La Sua Alterità, La Sua Santità; questa differenza non va mai dimenticata.
<<Sia santificato il tuo nome>>La santificazione è azione di Dio e, insieme, dei credenti: quando la luce di questi ultimi risplende davanti a tutti gli uomini, allora quelli che vedono le loro opere buone rendono gloria al Padre, cioè santificano il nome di Dio.
<<Venga il tuo regno>> Il Regno di Dio si è manifestato in Gesù, perché egli è l’unico uomo su cui Dio, e Dio solo, ha regnato totalmente e radicalmente: quello vissuto da Gesù è il Regno che deve estendersi. Il Regno di Dio è una realtà che si attende e che si invoca e, alla quale ci dobbiamo preparare mediante la conversione.
<<Sia fatta la tua volontà, come in cielo così in terra>> Per noi cristiani è necessario pregare questa domanda come strumento di lotta contro le resistenze che abbiamo nel compiere la volontà di Dio. E’ un arduo confronto tra i nostri pensieri e quelli di Dio così diversi dai nostri, tra ciò che vorremmo e ciò che Dio ci chiede.
<<Dacci oggi il nostro pane quotidiano>> Chiedere a Dio il pane è una presa di coscienza della nostra realtà siamo esseri che hanno bisogno di nutrirsi per vivere.
<<Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori>>l credente sa bene di essere un debitore verso Dio e i fratelli. Ascoltando la parola di Dio e, confrontandosi con essa, egli giunge a comprendere le proprie incoerenze e i propri errori, dunque i propri peccati. Il perdono chiesto a Dio è condizionato dal perdono che noi accordiamo agli altri.
<<Non ci lasciare cadere in tentazione>> La vita dell’uomo sulla terra è una prova, sempre, perché l’uomo è costantemente tentato di contraddire l’amore di Dio, di vivere senza gli altri e contro gli altri.
<<Liberarci dal male>>Il nostro Dio è un Dio Salvatore, che salva e libera, dunque ha il potere di liberarci dal Maligno. Dio è il Padre buono e dà la vita, ma di fronte a Lui c’è il Maligno che tenta di dare la morte, che “come leone ruggente si aggira cercando una preda da divorare”.Ecco allora l’invocazione “Liberaci dal Maligno e dalla sua azione!”.
Al seguito di Cristo anche noi possiamo vincerlo, già ora e poi per la vita eterna!

Elisabetta Mercuri