Formazione 2010-2011

INCONTRI DI FORMAZIONE del 23 Marzo – del 04 e 11 Aprile 2011

Tenuti dal padre assistente Padre Aldo Imbrogno

I SACRAMENTI DI GUARIGIONE

Il sacramento della Penitenza e Riconciliazione è il sacramento che ci riconcilia con Dio e con i fratelli attraverso il perdono di Dio e della Chiesa per i nostri peccati: esso è la via ordinaria per ottenere il perdono e la remissione dei suoi peccati gravi commessi dopo il battesimo ed è allo stesso tempo cammino di grazia e di conversione.

E’ chiamato secondo vari nomi che sottolineano aspetti diversi:

sacramento della Conversione perché ci impegna e ci sostiene nella conversione a Gesù;

La conversione non è mai un evento avvenuto una volta per sempre, ma è un dinamismo che dobbiamo rinnovare a ogni età, in ogni stagione, ogni giorno della nostra esistenza. Sì, perché noi allentiamo le forze, ci stanchiamo, siamo preda dello smarrimento e della consapevolezza della nostra debolezza, siamo abitati da pulsioni che ci fanno cadere e contraddicono il nostro cammino verso il Signore. Non siamo capaci di vivere sempre un’esistenza pasquale: l’incostanza, l’abitudine, la routine ce lo impediscono. Ecco allora il tempo propizio della quaresima, tempo in cui intensifichiamo alcune azioni e riprendiamo alcuni atteggiamenti che, ripetuti con particolare attenzione e forza, ci permettono di sviluppare, confermare e accrescere le nostre risposte alle esigenze della sequela cristiana.
Il nostro cuore è ingombro per tanti desideri immediati che lo riempiono, desideri che soffocano il cuore. È necessario potare con saggezza i desideri del cuore, tagliare quelli che sono superflui e potenziare quelli che ci aiutano a crescere. Ma è possibile liberare il cuore? La prima risposta è evidente: con la Parola di Dio. La parola di Dio ci porta le promesse di Dio, i suoi desideri, i suoi comandi. Solo quando la Parola avrà preso dimora dentro di noi gli altri desideri potranno essere ridimensionati e collocati ciascuno al suo giusto posto. Ci vorrà tempo, pazienza, costanza. Perché i cambiamenti del cuore sono lenti, e soprattutto sono instabili se non sono confermati e consolidati con la perseveranza. Ma se desideriamo davvero un cammino di conversione, la strada necessaria è questa: leggere e rileggere il Vangelo, leggerlo con amore, con gioia, impararlo a memoria, ridirlo a noi stessi, trasformarlo in dialogo personale con il Signore, approfondirlo con gli strumenti che siamo in grado di usare.
C’è un atteggiamento di fondo da tenere: vivere sotto lo sguardo di Dio che è nel segreto e che vede nel segreto. Davanti a Lui non ci sono maschere che possano sottrarre allo sguardo, non ci sono tenebre che possano impedire il confronto. Davanti a Dio s’impara la semplicità del cuore, la trasparenza. Ecco perché è così importante che impariamo a stare sotto lo sguardo di Dio che può fare di noi persone più libere, capaci di scegliere, non per un vantaggio sociale, ma per amore della verità e del bene. Ci hanno insegnato che, quando si comincia a pregare, ci si deve mettere alla presenza di Dio. Ed è proprio vero. Ci vuole quel momento di silenzio e di raccoglimento che permette di spostare l’attenzione a Dio che sta in noi, dalle tante cose che ci hanno occupato e preoccupato.
La conversione di cui abbiamo bisogno è precisamente questa: sentirci in stato di ricerca, desiderosi di un “di più” e di “un meglio” senza accontentarci di quello che già sappiamo e già siamo: voler conoscere meglio la parola di Dio per metterci in discussione e adeguare il vivere al credere.

sacramento della Penitenza – perché accompagna un cammino di pentimento per i propri peccati e di promessa di bene;

Il peccato è una vera rovina, e il pentimento e il perdono non sono reali senza risoluta volontà di distacco dal male: la penitenza non va saltata! La guarigione non toglie la convalescenza, e la pace stipulata non toglie subito la distanza da colmare. La penitenza non è dunque mortificazione, ma attivazione della libertà  fare penitenza con decisione, determinazione. Le forme più consuete sono la cura di evitare le tentazioni, il digiuno, la serena  sopportazione dei problemi della vita quotidiana, le opere di carità. E ricordiamo che se la gioia del perdono è immediata, ci vuole invece molta pazienza e umiltà prima di provare la gioia di una libertà ricostruita.

Il sacramento della PENITENZA è l’atto gratuito del Signore Gesù Cristo col quale egli perdona i peccati del cristiano, ossia di un uomo o una donna che dopo aver aderito liberamente al Vangelo di Gesù ed essere entrato a fare parte della comunità cristiana, contrasta con la sua vita e le sue scelte il dono ricevuto, e pertanto viola la santità della chiesa e indebolisce, fino a interromperlo, il legame con la chiesa.  La Penitenza è dunque azione divina di riconciliazione con Dio, concessa attraverso la ritrovata comunione con la chiesa. Questa pertanto ha un ruolo attivo nel cammino penitenziale del cristiano: con la predicazione, la preghiera, l’esempio, la correzione fraterna e il ministero sacerdotale , la chiesa accompagna il peccatore nell’incontro con Cristo, il quale accoglie il peccatore convertito con la grazia della sua misericordia.  La Penitenza sacramento si radica nella penitenza virtù, in quella disposizione del cuore per la quale il cristiano sa di doversi continuamente convertire a Dio, secondo le prime parole della predicazione di Gesù stesso. La conversione del cuore comincia a cambiare la vita, e questo dona gioia e pace, dispone a una ritrovata comunione con Cristo e la chiesa, mentre rafforza la volontà di compiere opere secondo la volontà e la giustizia di Dio.

sacramento della Confessione – perché confessiamo i nostri peccati.

E’ chiamato sacramento della confessione poiché l’accusa, la confessione dei peccati davanti al sacerdote è un elemento essenziale di questo sacramento. In un senso profondo esso è anche una “confessione”, riconoscimento e lode della santità di Dio e della sua misericordia verso l’uomo peccatore.

La Confessione implica un cambiamento di visione e di vita. Il primo passo necessario per compierlo è riparare alle offese che si sono fatte, dove dichiarerà, con l’aiuto del sacerdote, tutti i peccati che in sincerità ricorda e le circostanze in cui li ha compiuti, per poter ricevere l’assoluzione . Va tenuto conto del fatto che poiché il perdono è di Dio e il sacerdote è solo il Suo tramite umano –  Bisogna prendere coscienza di questa gratuità che Dio ci fa, da toglierci quel peso che è il Peccato, che ci impedisce di usufruire dell’Amore di Dio.

Il Sacramento della Confessione è uno dei sacramenti più umani, più belli, di cui abbiamo bisogno, perché è l’incontro personale con Cristo che perdona.

Pensando che nella Confessione una persona va ad incontrarsi con il Signore. Non è semplicemente l’assillo della meticolosità di dire tutto, tutto: bisogna, sia ben chiaro, dire tutti i peccati gravi, ma quello che è importante è l’incontro, l’approccio con Cristo, il sentirsi accolto, compreso, perdonato; è l’incontro sacramentale con Cristo che perdona.

La Confessione è la continua opportunità di ricordare e di approfondire il senso del proprio battesimo, cioè di stare al mondo davvero da cristiani. Un cristiano dovrebbe essere e mostrarsi sempre buono e umile, mai superbo e arrogante, perché ha la consapevolezza radicale di essere un salvato, e non una volta sola. Così espresso, il compito sembra difficile, ma se un cristiano rende quotidiana la contemplazione di Gesù crocifisso, e ricorda con gratitudine la lunga pazienza che il Signore ha avuto nei suoi riguardi, ben presto si accorgerà di avere non solo un cuore nuovo, ma anche parole, sguardi, gesti, atteggiamenti meno arroccati e più rispettosi nei confronti di tutti.

sacramento del Perdono – perché riceviamo il perdono di Dio e della Chiesa;

Non dobbiamo dimenticare che il peccato è anche il male di Dio proprio perché è il male dell’uomo. Dio è toccato dal male dell’uomo, perché egli vuole il bene dell’uomo.    Quando parliamo della legge di Dio non dobbiamo pensare a una serie di comandi arbitrari con cui egli afferma il suo dominio, ma piuttosto a una serie di indicazioni segnaletiche sulla via della nostra realizzazione umana. I comandamenti di Dio non esprimono tanto il suo dominio quanto la sua sollecitudine. Dentro ogni comandamento di Dio c’è iscritto questo comandamento: Diventa te stesso. Realizza le possibilità di vita che ti ho dato. Io per te non voglio altro che la tua pienezza di vita e di felicità.  Questa pienezza di vita e di felicità si realizza soltanto nell’amore di Dio e dei fratelli. Ora il peccato è il rifiuto di amare e di lasciarsi amare. Dio infatti è ferito dal peccato dell’uomo, perché il peccato ferisce l’uomo che egli ama. È ferito nel suo amore, non nel suo onore.  Ma il peccato colpisce Dio non soltanto perché delude il suo amore. Dio vuole intessere con l’uomo un rapporto personale di amore e di vita che per l’uomo è tutto: vera pienezza di esistenza e di gioia. Invece il peccato è un rifiuto di questa comunione vitale. L’uomo, amato gratuitamente da Dio, rifiuta di amare filialmente il Padre che lo ha tanto amato da dare per lui il suo Figlio .Questa è la realtà più profonda e misteriosa del peccato, che può essere capita solo alla luce della fede. Il peccato è un male che nasce dalla libertà umana e si esprime in un no libero all’amore di Dio.           Questo no (il peccato mortale) distacca l’uomo da Dio che è la fonte della vita e della felicità. Esso è di sua natura qualcosa di definitivo e irreparabile. Soltanto Dio può riallacciare le relazioni di vita e colmare l’abisso che il peccato ha scavato tra l’uomo e lui. E quando avviene la riconciliazione non si tratta di un generico aggiustamento di rapporti: è un atto di amore ancora più grande, generoso e gratuito di quello con cui Dio ci ha creato. La riconciliazione è una nuova nascita che fa di noi delle creature nuove.

Col Sacramento  del perdono. Di fronte al nostro continuo peccato Dio si rivela sem­pre capace di perdono e di misericordia. Ed è proprio questa misericordia che ci offre il momento di massima verità: quella di Dio che ci viene incontro come Padre e quella dell’uomo che si scopre figlio, nuovamente ri­generato da questo Amore di Padre. “Infinita ed ine­sauribile è la prontezza del Padre nell’accogliere i figli prodighi che tornano alla sua casa. Sono infinite la prontezza e la forza del perdono, che scaturiscono con­tinuamente dal mirabile valore del sacrificio del Figlio. Nessun peccato umano prevale su questa forza e nem­meno la limita. Da parte dell’uomo può limitarla sol­tanto la mancanza di buona volontà, la mancanza di prontezza nella conversione e nella penitenza, cioè il perdurare nell’ostinazione, contrastando la grazia e la verità”.

Il sacramento del perdono e della gioia, «manifesta il trionfo costante dell’amore di Dio sulla potenza del male; genera la forza rinnovatrice della misericordia divina che reca pace e gioia al cuore umano.

sacramento della Riconciliazione – perché ci dona una vita riconciliata con Dio e con i fratelli.

Il ministero della riconciliazione si attua in tutta la nostra vita, ma soprattutto in due momenti. Il primo è quello dell’intercessione, cioè nell’Eucarestia: noi assumiamo questo ministero quando contempliamo il Corpo di Cristo offerto durante la messa. “Ecco l’Agnello di Dio che toglie i peccati del mondo. Spesso ci lamentiamo dei peccati del mondo, ma poi diciamo “ecco colui che toglie i peccati del mondo”, dando così la certezza di ricostruzione di questo mondo sommerso dal peccato. Nell’intercessione della messa noi preghiamo con la chiesa perché il Signore tolga dal suo popolo santo ogni male, ogni discordia, ogni inimicizia.

Il secondo momento è quello della riconciliazione sacramentale, in cui Dio ricostituisce la persona con un atto gratuito e creativo. E’ un ministero che conserva un grande valore, perché è miracoloso poter accedere al perdono di Dio in mezzo a colpe gravissime, che possono perfino abbruttire o distruggere la personalità.

Il ministero della riconciliazione riguarda sempre il nostro cuore, il nostro intimo, perché non si può dare pace se non la si possiede, non si può dare riconciliazione se non siamo noi stessi riconciliati. Riconciliati non vuol dire non avere niente da perdonare a nessuno, ma avere da perdonare a noi e agli altri. E’ facile essere riconciliati quando non si hanno debiti con nessuno; se però abbiamo crediti o debiti, allora possiamo comprendere cosa significhi la vera riconciliazione. Tutto questo prende spesso molto tempo, perché le circostanze quotidiane inducono, senza che ce ne rendiamo conto, a continui stati di leggere inimicizie, a malumori, a irritazioni, a giudizi negativi. Spesso non badiamo molto a tutte queste cose, e invece poco alla volta diventano grossi grumi e grossi ostacoli. Un modo per sciogliere questi grumi è quello di ricorrere spesso alla Parola di Dio, sempre capace di riconciliare, suggerire, confortare, comprendere…

Questo ministero della riconciliazione avviene in mezzo alle contraddizioni della nostra vita, e trova spesso l’opposizione del mondo. Non è vero che tutti desiderano un’umanità riconciliata, non è vero che tutti desiderano un mondo in pace. Non è sempre vero neppure per noi stessi, personalmente.

Qualche volta siamo tentati di immaginare la soluzione ai nostri e altrui problemi grazie a un atto di forza o addirittura di violenza e non di riconciliazione, ci scopriamo pieni di rabbia, comprendiamo di avere parti di noi che non sono in grado di ascoltare e praticare ciò che ad alta voce invitiamo gli altri a fare. Accettare il contradditorio e le contraddizioni fa parte del cammino di riconciliazione quotidiano. Non possiamo percorrere questo sentiero senza fare i conti con le nostre ferite, e senza pagare di persona. La composizione dei conflitti passa anche attraverso il nostro sacrificio e l’incomprensione che il mondo ci riserva, ma che si fa strada nei modi e nei tempi più impensabili.

–  la riconciliazione con Dio, come ritorno all’intimità di questo grande assente dal nostro modo di vivere;

– la riconciliazione con se stessi, come ricostruzione dell’equilibrio tra valori spirituali e materiali;

– la riconciliazione con i fratelli come impegno per una maggiore giustizia, per l’abolizione dei dislivelli, delle divisioni, degli antagonismi, come offerta di carità, ricostruzione di fraternità tra uomini che stanno diventando tutti estranei fra loro;

– Il sacramento della Riconciliazione è il sacramento dove si sperimenta l’amore e la misericordia di Dio. Dio ci ama e il suo amore è così grande che va oltre le nostre debolezze, oltre i nostri peccati.

– Con la Riconciliazione si attua un gesto di amore grande e gratuito da parte di Dio che ci ha creati. Si attua, così, dopo il Battesimo, una nuova nascita che ci rende creature nuove.

La Chiesa si preoccupa di proporre alcuni specifici impegni che accompagnino concretamente i fedeli in questo processo di rinnovamento interiore: essi sono la preghiera, il digiuno e l’elemosina.

L’elemosina, che esprime l’apertura al fratello. Non c’è vera apertura a Dio senza che il cuore si apra realmente al fratello, senza che si superi il cerchio dell’egoismo e la barriera dell’autoconservazione, percorrendo invece l’avventura  gioiosa dell’amore. “Elemosina”, può sembrare un termine riduttivo, se dimentichiamo che il termine viene dalla radice “eleein” che vuole dire: avere misericordia. Proprio quello che chiediamo a Dio quando diciamo: “Signore abbi misericordia”; quella tenerezza di cui abbiamo bisogno e che chiediamo umilmente a Dio, noi siamo chiamati a donarla al fratello. Sarà la misericordia espressa nel gesto della condivisione, ma anche nella presenza e nel tempo che spendiamo per il fratello.
L’elemosina rappresenta un modo concreto di venire in aiuto a chi è nel bisogno e, al tempo stesso, un esercizio ascetico per liberarsi dall’attaccamento ai beni terreni. La pratica dell’elemosina diviene pertanto un mezzo per approfondire la nostra vocazione cristiana. Quando gratuitamente offre se stesso, il cristiano testimonia che non è la ricchezza materiale a dettare le leggi dell’esistenza, ma l’amore. Ciò che dà valore all’elemosina è dunque l’amore, che ispira forme diverse di dono, secondo le possibilità e le condizioni di ciascuno.

La preghiera sta al centro di questo trittico e non ha bisogno di grandi giustificazioni. Il cammino della vita cristiana è una chiamata di comunione da parte Dio. E come può svilupparsi una comunione se non attraverso un dialogo amicale nel quale ascoltiamo e parliamo, ringraziamo e supplichiamo, piangiamo e chiediamo perdono? Non si fa un cammino senza una seria preghiera quotidiana. Ciascuno si darà i suoi tempi, ma nessuno potrà fare a meno di un dialogo con il Signore.

Il digiuno cristiano vuole imprimere nel corpo un cammino di liberazione: si tratta di far partecipare il corpo a un passaggio di poteri seducenti alla libertà. Per fare questo occorre saper dire dei “no”, fare opera di resistenza e di lotta, sapersi privare di qualcosa anche se buona e vivere tutto questo non solo a livello di pensiero, ma anche con il corpo. Io sono il corpo, io sono ciò che mangio e nella padronanza della mia oralità vivo la padronanza del bisogno e purifico il mio desiderio. I cibi sono buoni, non esistono cibi proibiti , ma astenersi da essi con intelligenza e in tempi determinati è esercizio di liberazione dalla tirannide delle pulsioni dei sensi.
Se siamo più liberi da queste dominanti, siamo anche più disposti ad ascoltare la Parola di Dio, a pensare con Dio, siamo meno contraddetti nel fare la volontà del Signore, più capaci di opporre dei rifiuti a tutto ciò che ci seduce illusoriamente.

Il digiuno è in funzione della preghiera e dell’elemosina. Si digiuna per avere maggior tempo per pregare, per avere maggiori mezzi per aiutare i fratelli. Il digiuno è come uno spazio che è sottratto alle preoccupazioni per noi stessi, in modo da potere accogliere la preoccupazione per Dio e per gli altri. Il digiuno  rende più facile la preghiera e ci permette di trovare il tempo per dialogare con il Signore. E quello che si risparmia con il digiuno deve diventare aiuto concreto al fratello.

Gennaro Calidonna

Incontro del 9 maggio 2011

La preghiera e la contemplazione Eucaristica, associate al digiuno e all’astinenza, mezzi essenziali per temprare lo spirito, nella scelta di una vita penitenziale e del Primato di Dio.

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La preghiera è una comunicazione con Dio, in un atto di comunione con Lui, uniti in  Cristo Gesù, tramite l’azione dello Spirito. Essa può essere vocale o silenziosa (meditazione, ascolto), individuale o comunitaria; può ancora distinguersi in preghiera di lode e ringraziamento verso il nostro Padre Celeste, di sincera contrizione per le nostre fragilità, i nostri errori; di impetrazione per i nostri bisogni (spirituali e materiali). Relativamente alla preghiera, San Francesco di Paola raccomanda: “Carissimi, esorto ciascuno di voi ad applicarsi alla santa orazione, ricordandoci che la pura e assidua orazione dei giusti è una grande forza e, come un fedele messaggero, compie il suo mandato, penetrando là dove non può arrivare la carne”.(IV REGOLA VIII, 35). E ancora:” Nel tempo libero, si trattengano ancora in Salmi, inni e altre particolari preghiere, nei luoghi, nelle ore e nei tempi stabiliti; dovranno considerare queste devozioni, quanto più frequenti, tanto più meritorie”. (I REGOLA VII, 24). “La pura e assidua orazione dei giusti è una grande forza e arriva là dove non può arrivare la carne”. Con queste esortazioni, San Francesco di Paola attribuisce alla preghiera, un ruolo essenziale nel cammino di perfezionamento spirituale di colui che, come cristiano e, nel nostro caso come laico minimo, ha professato di mettersi a servizio del Re del Cielo, e di testimoniare i principi evangelici con la propria vita. Operare nel nostro quotidiano secondo Dio, non è facile. Quante volte infatti, la superbia, l’orgoglio, la cupidigia, l’avarizia (desideri questi, della carne), prendono il sopravvento sul perdono, sull’umiltà, sulla temperanza, sulla solidarietà (frutti tutti, dello spirito), esponendoci al peccato e, giustificandolo anche? Nel Cristiano, c’è sempre un dibattimento tra la carne e lo spirito, tra l’IO e DIO; e in questo dibattimento si è deboli se lo affrontiamo da soli; ecco l’importanza della preghiera, dei Sacramenti, soprattutto dell’Eucarestia. In tanti passi evangelici il cristiano è chiamato a stare con Dio, a ricercarlo. “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi ed io vi ristorerò”. Gesù stesso, all’inizio della sua passione, si reca nel Getsemani con alcuni discepoli a pregare, per non cadere in tentazione! Egli, come uno di noi, sperimenta la sua fragilità: “Padre, se vuoi, allontana da me questo calice”. Ma, nella comunione col Padre, con l’azione dello Spirito, vince la paura e si dichiara pronto: “Padre, non la mia, ma sia fatta la Tua volontà”. Dio quindi, ci chiama sì, a fare la sua volontà per il nostro bene, ma ci è comunque accanto, ci dà i mezzi per compierla, se noi ricorriamo a Lui, sempre, con la preghiera e con i Sacramenti. Perché la preghiera abbia il suo frutto, ossia rinnovi il nostro essere, aiutandoci a compiere la volontà di Dio, sono necessarie però alcune condizioni. Nelle Regole del I Ordine, San Francesco dice: << Essendo efficace l’orazione congiunta al digiuno, non omettete di attendere con tutte le forze alla devozione e all’orazione, ammettendo alle parole il loro significato, al significato la risonanza affettiva, a questa l’entusiasmo, all’entusiasmo l’equilibrio, all’equilibrio l’umiltà, all’umiltà infine, la genuina libertà dello Spirito>>.(I REGOLA VII,24). Ancora, (nella IV REGOLA: VIII,36), San Francesco dice: <<Perché si abbia maggiore possibilità di pregare, si ammonisca ciascuno ad osservare con cura il silenzio evangelico>>. Secondo tali esortazioni quindi, la preghiera deve essere una interlocuzione vera con Dio, deve essere meditata con attenzione, interesse, quindi contemplativa, in modo da comprenderla e, successivamente, accoglierla col cuore mettendola in pratica.(Contemplazione che diventa azione). Non è viceversa utile, una preghiera distaccata, disattenta, frettolosa, solo esteriore, in cui, il rapporto con Dio è sentito solo come un dovere, un compito, spogliandolo della funzione vivificante, rigenerante che gli sono proprie. Analogamente, i Sacramenti, in particolare l’Eucarestia, non devono essere dei riti formali, esteriori, ma contemplativi perché protesi a temprare lo spirito del cristiano. Infatti, solo la contemplazione dell’Eucarestia, facendo rivivere in noi l’Amore folle di Gesù per il genere umano, espresso nella sua obbedienza al Padre e nel sacrificio della sua stessa vita, può fortificarci e stimolarci a dare un po’ di noi stessi agli altri. Il digiuno, l’astinenza, temprano anch’essi lo spirito e lo elevano a Dio, sia in forma effettiva, perché come dice san Giovanni Crisostomo:” La privazione materiale, eleva la coscienza”; sia perché costituiscono una forma di allenamento per ognuno a vincere il proprio io.Essi stessi però, come dice il Vangelo, devono essere praticati nel nascondimento. Perché la Preghiera, i Sacramenti, il digiuno, l’astinenza, non siano ostentati ossia solo riti esteriori, ma diventino per noi veri mezzi per conseguire una maggiore maturità spirituale, è necessaria la fede; infatti, solo il credere fermamente in un Dio che ci ama, che indistintamente e gratuitamente ricerca e provvede a ciò che è bene per ognuno di noi, ci può spingere a ricercarlo con amore, a conoscerlo meglio, per accogliere e attuare poi i suoi precetti, il primo dei quali è l’Amore.

GISELLA LEONE

Incontro del 2 maggio 2011

Dopo aver recitato i Vespri, il confratello Luciano Rocca in occasione della visita del Santo Padre nella nostra Diocesi, ci ha proiettato un DVD sulla vita del Papa Benedetto XVI.

UNA VITA AL SERVIZIO DELLA CHIESA
Il Card. Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, Presidente della Pontificia Commissione Biblica e della Pontificia Commissione Teologica Internazionale, Decano del Collegio Cardinalizio, è nato in Marktl am Inn, in diocesi di Passau (Germania) il 16 aprile 1927.     Il padre, commissario della gendarmeria, proveniva da una antica famiglia di agricoltori della Bassa Baviera. Trascorsi gli anni dell’adolescenza a Traunstein, venne richiamato negli ultimi mesi del secondo conflitto mondiale nei servizi ausiliari antiaerei.

Dal 1946 al 1951 – anno in cui, (il 29 giugno) veniva ordinato sacerdote ed iniziava la sua attività di insegnamento – studiò filosofia e teologia nella università di Monaco e nella scuola superiore di Filosofia e Teologia di Frisinga.

Del 1953 è la dissertazione “Popolo e casa di Dio nella Dottrina della Chiesa di Sant’Agostino”, con la quale si addottorava in Teologia. Quattro anni dopo otteneva la libera docenza con un lavoro su “La Teologia della Storia di San Bonaventura”.
Conseguito l’incarico di Dogmatica e Teologia fondamentale nella scuola superiore di Filosofia e Teologia di Frisinga, proseguì l’insegnamento a Bonn, dal 1959 al 1969, Münster, dal 1963 al 1966, e Tubinga, dal 1966 al 1969.

In quest’ultimo anno divenne professore ordinario di Dogmatica e di storia dei dogmi nell’università di Ratisbona e Vice-Presidente della stessa università.

Intanto già dal 1962 acquistava notorietà internazionale intervenendo, come consulente teologico dell’Arcivescovo di Colonia Cardinale Joseph Frings, al Concilio Vaticano II, al quale diede un notevole contributo.

Tra le sue numerose pubblicazioni un posto particolare occupano l’Introduzione al Cristianesimo, raccolta di lezioni universitarie sulla professione di fede apostolica, pubblicata nel 1968; Dogma e rivelazione, un’antologia di saggi, prediche e riflessioni dedicate alla pastorale, uscita nel 1973.
Ampia risonanza ottenne pure la sua arringa pronunziata dinanzi all’Accademia cattolica bavarese sul tema “Perché io sono ancora nella Chiesa?”, nella quale affermava: “Solo nella Chiesa è possibile essere cristiani e non accanto alla Chiesa”.
Del 1985 è il volume Rapporto sulla fede, del 1996 Il sale della terra.

Il 24 marzo 1977 Paolo VI lo nominava Arcivescovo di München und Freising. Il 28 maggio successivo riceveva la consacrazione episcopale, primo sacerdote diocesano ad assumere dopo 80 anni il governo pastorale della grande Diocesi bavarese.

Dal Papa Paolo VI nomunato Cardinale nel Concistoro del 27 giugno 1977.

È stato Relatore alla V Assemblea generale del Sinodo dei Vescovi (1980) sul tema: “I compiti della famiglia cristiana nel mondo contemporaneo” e Presidente delegato della VI Assemblea sinodale (1983) su “Riconciliazione e penitenza nella missione della Chiesa”.

Incontro del 28 marzo 2011

ASPETTANDO LA VISITA PASTORALE DEL SANTO PADRE A LAMEZIA TERME

“E Pietro disse:…nel nome di Gesù Cristo, il Nazareno,alzati e cammina”(3,6)

28 marzo 2011 CHIESA SAN FRANCESCO di Paola Sambiase

La fraternità TOM alle ore 19.00 si è riunita per il consueto incontro mensile di preghiera, dopo la S Messa è seguita l’Adorazione Eucaristica e la riflessione dell’Enciclica di Papa Benedetto XVI° “ DEUS CARITAS EST” Amore di Dio e amore del prossimo

16. Dopo aver riflettuto sull’essenza dell’amore e sul suo significato nella fede biblica, rimane una duplice domanda circa il nostro atteggiamento: è veramente possibile amare Dio pur non vedendolo? E: l’amore si può comandare? Contro il duplice comandamento dell’amore esiste la duplice obiezione, che risuona in queste domande. Nessuno ha mai visto Dio — come potremmo amarlo? E inoltre: l’amore non si può comandare; è in definitiva un sentimento che può esserci o non esserci, ma che non può essere creato dalla volontà. La Scrittura sembra avallare la prima obiezione quando afferma: « Se uno dicesse: “Io amo Dio” e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chi infatti non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede » (1 Gv 4, 20). Ma questo testo non esclude affatto l’amore di Dio come qualcosa di impossibile; al contrario, nell’intero contesto della Prima Lettera di Giovanni ora citata, tale amore viene richiesto esplicitamente. Viene sottolineato il collegamento inscindibile tra amore di Dio e amore del prossimo. Entrambi si richiamano così strettamente che l’affermazione dell’amore di Dio diventa una menzogna, se l’uomo si chiude al prossimo o addirittura lo odia. Il versetto giovanneo si deve interpretare piuttosto nel senso che l’amore per il prossimo è una strada per incontrare anche Dio e che il chiudere gli occhi di fronte al prossimo rende ciechi anche di fronte a Dio.

17. In effetti, nessuno ha mai visto Dio così come Egli è in se stesso. E tuttavia Dio non è per noi totalmente invisibile, non è rimasto per noi semplicemente inaccessibile. Dio ci ha amati per primo, dice la Lettera di Giovanni citata (cfr 4, 10) e questo amore di Dio è apparso in mezzo a noi, si è fatto visibile in quanto Egli « ha mandato il suo Figlio unigenito nel mondo, perché noi avessimo la vita per lui » (1 Gv 4, 9). Dio si è fatto visibile: in Gesù noi possiamo vedere il Padre (cfr Gv 14, 9). Di fatto esiste una molteplice visibilità di Dio. Nella storia d’amore che la Bibbia ci racconta, Egli ci viene incontro, cerca di conquistarci — fino all’Ultima Cena, fino al Cuore trafitto sulla croce, fino alle apparizioni del Risorto e alle grandi opere mediante le quali Egli, attraverso l’azione degli Apostoli, ha guidato il cammino della Chiesa nascente. Anche nella successiva storia della Chiesa il Signore non è rimasto assente: sempre di nuovo ci viene incontro — attraverso uomini nei quali Egli traspare; attraverso la sua Parola, nei Sacramenti, specialmente nell’Eucaristia. Nella liturgia della Chiesa, nella sua preghiera, nella comunità viva dei credenti, noi sperimentiamo l’amore di Dio, percepiamo la sua presenza e impariamo in questo modo anche a riconoscerla nel nostro quotidiano. Egli per primo ci ha amati e continua ad amarci per primo; per questo anche noi possiamo rispondere con l’amore. Dio non ci ordina un sentimento che non possiamo suscitare in noi stessi. Egli ci ama, ci fa vedere e sperimentare il suo amore e, da questo « prima » di Dio, può come risposta spuntare l’amore anche in noi.

L’incontro si è concluso con la Solenne Benedizione.

Tina Di Cello

Incontro dei Terziari impossibilitati a partecipare i lunedì

La recita comunitaria dei Vespri, ha dato inizio all’incontro alle ore 18, dei Terziari lavoratori che si è svolto domenica 20 marzo 2011. Dopo esserci riuniti nella Preghiera abbiamo con attenzione ascoltato il Padre Assistente, che ha posto alla nostra riflessione il tema: I SACRAMENTI DI GUARIGIONE Continua a leggere

Incontro del 7 marzo 2011

TEMATICA : LA VITA CRISTIANA COME “VITA NELLO SPIRITO”

Nei tempi odierni é in crisi l’identità dell’uomo; le prese culturali dell’uomo d’oggi sono pericolosissime perchè orientate alla realizzazione dell’IO,senza considerare la dimensione dell’altro e quindi di DIO. Il compito principale della Chiesa é, in tale situazione, quello di stimolare la ricerca di una maggiore spiritualità. Presupposto indispensabile di tutto ciò, é riconoscersi (contro le tendenze del tempo) bisognosi di Dio (ricordiamo la povertà di spirito, la prima delle beatitudini pronunciate da Gesù alla folla nel discorso della montagna). Bisognosi di Dio però, non in quanto Dio ci deve elargire delle grazie, ma perché riconosciamo veramente la Sua Grandezza, la nostra nullità dinanzi a Lui, il Suo immenso Amore, rivelato tramite lo Spirito Santo, dal Suo unico Figlio Gesù, morto e risorto per la nostra salvezza. Bisognosi di Dio ancora, perché riconosciamo la veridicità dei suoi Comandamenti, che non ci sono stati dati per limitare la nostra libertà umana, ma per garantire la nostra incolumità, realizzando un vivere più giusto in perfetta pace e comunione d’amore. E’ proprio questo vero bisogno di Dio, questa ammirazione per Lui, che ci spinge ad averne fiducia e ci permette di ricercarlo per conoscerlo meglio, per contemplare la Sua Parola e far sì che Essa tocchi il nostro cuore passando poi all’azione, ossia concretizzandola nella nostra vita. Solo in questo contesto, la vita del cristiano diventa vita nello Spirito, assumendo quasi un risvolto mistico; una vita a cui viene dato il nome di zoè (vita dell’uomo redento, uniformato a Cristo, in cui c’è l’equilibrio tra la carne e lo spirito entrambi presenti nella natura umana) e che si distingue dal termine bios (atto ad indicare la semplice vita antropologica). La vita nello Spirito, proprio perché un unisono di preghiera e azione, diventa Apostolato, perché capace di convertire gli altri per la sua credibilità. Non è caratterizzata da riti solo esteriori, di un cristianesimo annacquato in cui tutto è superficialità e gli stessi insegnamenti di Cristo sono scomodi, inaccettabili, portando ad una scissione tra fede e vita; non c’è quindi l’ipocrisia (distorsione tra il dire e il fare), la preghiera non è devozionismo, la verità non è dogmatismo, l’evidenza non è protagonismo, perché ciò che tu fai, non è per te stesso, ma per realizare il progetto di Dio. Nella vita vissuta nello Spirito, noi permettiamo allo Spirito Santo di posarsi su di noi come si è posato su Gesù; gli stessi mezzi di accostamento a Cristo, la preghiera in qualsivoglia forma, l’ascolto della Parola, i Sacramenti, soprattutto l’Eucarestia, non sono più atti formali, ma, proprio perché scaturiti da un nostro effettivo bisogno di Dio, diventano veri atti di interlocuzione con Lui, di ascolto dello Spirito e, in quanto tali, realmente aiutano a trasformarci, a diventare veri uomini e veri figli di Dio per Grazia (come già avvenuto nel Battesimo) e a compiere con la nostra vita, la Sua volontà. Vita nello Spirito, non significa ancora Intimismo, in cui la vita spirituale non viene comunicata all’esterno, non portando quindi alcun frutto; al contrario, vita nello Spirito, significa apertura agli altri indistintamente, per una crescita comunitaria, un arricchimento vicendevole, saldamente uniti al Signore. In Giovanni :15,5 infatti, Gesù dice : “Io sono la vite, voi i tralci, chi rimane in me ed IO in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla”. E ancora, in Giovanni : 15,12 dice :”Questo il mio comandamento, Che vi amiate gli uni gli altri, come Io vi ho amati.

Gisella Leone

Incontro terziari lavoratori del 6 marzo 2011

La recita comunitaria dei Vespri, ha dato inizio all’incontro alle ore 18, dei Terziari lavoratori che si è svolto domenica 6 Marzo. Dopo esserci riuniti nella Preghiera, abbiamo con attenzione ascoltato la consorella Gisella Leone, che ha introdotto la tematica dell’incontro formativo.

La riflessione è stata incentrata su un altro aspetto penitenziale del carisma minimo: la pazienza. la pazienza è una virtù che ogni cristiano e noi laici minimi in particolare, dobbiamo coltivare. Il mondo in cui viviamo,insoddisfatto, frenetico, ingiusto, mette a dura prova il nostro essere, togliendoci la pace; afflizioni varie (malattie, problemi familiari, di lavoro) oppure ingiurie, affronti,calunnie, cattivi trattamenti e torti che riceviamo nel nostro onore e nella nostra persona, sobillano il nostro io che,per sentimenti di orgoglio, voglia di rivalsa, di giustizia, insorge, sfociando nell’ira, nel rancore, nell’aggressività, rompendo il rapporto con l’altro e quindi con Dio. Come fare? Non possiamo certo annullare i nostri problemi; possiamo però saperli vivere con calma inalterabile, con serenità se riconosciamo le nostre fragilità e ci affidiamo completamente a Dio che ci ama e ha per ciascuno di noi progetti di pace e di non sventura. Sostenuti dalla speranza in Dio e illuminati dallo Spirito, abbiamo quindi la forza di comprendere l’altro, di accettarlo nella sua diversità e non di adoperarci per annientarlo. Ancora, illuminati dallo Spirito, non abbiamo fretta nel raccogliere i frutti del nostro operare, ma sappiamo attendere sereni nella preghiera e nell’umile distacco da noi stessi, l’ora di Dio e il compimento della sua volontà. Gesù ci ha dato esempio incomparabile di tale virtù nei misteri della flagellazione, della corona di spine, nel suo viaggio al Calvario e nella morte in Croce. Egli nel Vangelo, ha proclamato beati i mansueti e ha promesso loro l’eredità della terra. Lui stesso si é offerto come modello, dicendo:”Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me che sono mite ed umile di cuore”. I martiri nei loro supplizi, non hanno mai ingiuriato i loro carnefici, né si sono lamentati delle crudeltà e non hanno emesso grida eccessive. Anche il nostro Santo Fondatore San Francesco di Paola, sorretto dalla Spiritualità Penitenziale é stato eccellente in questa virtù; pur non avendo perso la vita con la violenza delle torture e dei supplizi, la sua esistenza nel giudizio della Chiesa é stata un lungo martirio per il digiuno, l’astinenza, i cilici, le veglie, le fatiche, i viaggi, la durezza del giaciglio sul quale riposava e le infermità che ha sofferto in novantuno anni ininterrottamente. Si parlava pubblicamente contro la sua vita, il suo ordine e i suoi miracoli; ma egli non proferiva parola alcuna,non si difendeva affatto. Secondo il processo cosentino di canonizzazione, un certo padre Antonio Scozzetta, mosso da calunnie perpetrate contro il Santo Paolano da alcuni medici, gelosi delle guarigioni da lui ottenute per numerosi ammalati, si recò personalmente da San Francesco per riprenderlo sul suo operato. San Francesco, con grande serenità e dolcezza, non si scompose, prese nelle mani dei carboni ardenti e, tenendoli per tanto tempo disse al padre: “Per carità, scaldatevi”. Un gesto questo che fece capire al padre la freddezza del suo cuore e, richiamandolo all’amore di Cristo, lo convertì. San Francesco é apparso a tutti come l’uomo della grande dolcezza, che sapeva accogliere e dire la parola di incoraggiamento al momento giusto e che, nel correggere, sapeva unire alla fermezza della giustizia, la dolcezza della misericordia.

Dunque abbiamo compreso come l’essenzialità della Pazienza sia il saper aspettare, anche se oggi viviamo in una società in cui predomina la cultura dell’ORA e del SUBITO. L’attesa ci da la capacità di gustare ciò che deve realizzarsi. Ecco la Positività della Pazienza. L’attesa valorizza la positività della pazienza. Nelle Sacre Scritture un esempio di pazienza ce lo da Giobbe, che possedeva tutto, ma nel momento in cui viene spogliato di tutto ciò che aveva, ha la capacità di aspettare, di affidarsi a Dio (totale Fiducia in Dio). La pazienza è Saper attendere che le cose maturino, ma avendo sempre totale Fiducia in Dio, che ci darà la forza di accettare anche ciò che non prevedevamo. Infatti, una lunga attesa non ha sempre come fine la realizzazione dei nostri sogni, o la realizzazione delle nostre speranze, ma può avere un esito diverso e a volte doloroso. È proprio in questi momenti che dobbiamo a

bbandonarci a Dio, e chiedere a Lui solo la forza per accettare (non passivamente, non in modo rassegnato) la sua volontà, ma sia la fiducia che l’accettazione devono e sono frutto di una Preghiera costante.

Incontro terziari lavoratori

6 marzo 2011

La recita comunitaria dei Vespri, ha dato inizio all’incontro alle ore 18, dei Terziari lavoratori che si è svolto domenica 6 Marzo. Dopo esserci riuniti nella Preghiera, abbiamo con attenzione ascoltato la consorella Gisella Leone, che ha introdotto la tematica dell’incontro formativo. Continua a leggere

In preghiera aspettando il Santo Padre a Lamezia Terme

INCONTRO DI PREGHIERA DEL 28/02/2011

La fraternità TOM di Sambiase alle ore 17.30 si è riunita nella chiesa di San Francesco da Paola per partecipare alla Santa Messa e in seguito all’Adorazione Eucaristica per pregare, meditare e riflettere sulla Lettera Enciclica DEUS CARITAS EST del Sommo Pontefice BENEDETTO XVI sull’Amore Cristiano.

INTRODUZIONE

1. « Dio è amore; chi sta nell’amore dimora in Dio e Dio dimora in lui » (1 Gv 4, 16). Queste parole della Prima Lettera di Giovanni esprimono con singolare chiarezza il centro della fede cristiana: l’immagine cristiana di Dio e anche la conseguente immagine dell’uomo e del suo cammino. Inoltre, in questo stesso versetto, Giovanni ci offre per così dire una formula sintetica dell’esistenza cristiana: «Noi abbiamo riconosciuto l’amore che Dio ha per noi e vi abbiamo creduto».

Abbiamo creduto all’amore di Dio — così il cristiano può esprimere la scelta fondamentale della sua vita. All’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva. Nel suo Vangelo Giovanni aveva espresso quest’avvenimento con le seguenti parole: « Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui … abbia la vita eterna » (3, 16). Con la centralità dell’amore, la fede cristiana ha accolto quello che era il nucleo della fede d’Israele e al contempo ha dato a questo nucleo una nuova profondità e ampiezza. L’Israelita credente, infatti, prega ogni giorno con le parole del Libro del Deuteronomio, nelle quali egli sa che è racchiuso il centro della sua esistenza: « Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo. Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le forze » (6, 4-5). Gesù ha unito, facendone un unico precetto, il comandamento dell’amore di Dio con quello dell’amore del prossimo, contenuto nel Libro del Levitico: « Amerai il tuo prossimo come te stesso » (19, 18; cfr Mc 12, 29-31). Siccome Dio ci ha amati per primo (cfr 1 Gv 4, 10), l’amore adesso non è più solo un « comandamento », ma è la risposta al dono dell’amore, col quale Dio ci viene incontro. Nel cammino della fede biblica diventa invece sempre più chiaro ed univoco ciò che la preghiera fondamentale di Israele, lo Shema, riassume nelle parole: « Ascolta, Israele: il Signore è il nostro Dio, il Signore è uno solo » (Dt 6, 4). Esiste un solo Dio, che è il Creatore del cielo e della terra e perciò è anche il Dio di tutti gli uomini. L’unico Dio in cui Israele crede, invece, ama personalmente. Il suo amore, inoltre, è un amore elettivo: tra tutti i popoli Egli sceglie Israele e lo ama — con lo scopo però di guarire, proprio in tal modo, l’intera umanità. Egli ama, e questo suo amore può essere qualificato senz’altro come eros, che tuttavia è anche e totalmente agape [7].

Soprattutto i profeti Osea ed Ezechiele hanno descritto questa passione di Dio per il suo popolo con ardite immagini erotiche. Il rapporto di Dio con Israele è illustrato mediante le metafore del fidanzamento e del matrimonio; di conseguenza, l’idolatria è adulterio e prostituzione. Con ciò si accenna concretamente — come abbiamo visto — ai culti della fertilità con il loro abuso dell’eros, ma al contempo viene anche descritto il rapporto di fedeltà tra Israele e il suo Dio. La storia d’amore di Dio con Israele consiste, in profondità, nel fatto che Egli dona la Torah, apre cioè gli occhi a Israele sulla vera natura dell’uomo e gli indica la strada del vero umanesimo. Tale storia consiste nel fatto che l’uomo, vivendo nella fedeltà all’unico Dio, sperimenta se stesso come colui che è amato da Dio e scopre la gioia nella verità, nella giustizia — la gioia in Dio che diventa la sua essenziale felicità: «Chi altri avrò per me in cielo? Fuori di te nulla bramo sulla terra… Il mio bene è stare vicino a Dio » (Sal 73 [72], 25. 28.)

10. L’eros di Dio per l’uomo — come abbiamo detto — è insieme totalmente agape. Non soltanto perché è donato del tutto gratuitamente, senza alcun merito precedente, ma anche perché è amore che perdona. Soprattutto Osea ci mostra la dimensione dell’agape nell’amore di Dio per l’uomo, che supera di gran lunga l’aspetto della gratuità. Israele ha commesso « adulterio », ha rotto l’Alleanza; Dio dovrebbe giudicarlo e ripudiarlo. Proprio qui si rivela però che Dio è Dio e non uomo: « Come potrei abbandonarti, Efraim, come consegnarti ad altri, Israele? … Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Efraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te » (Os 11, 8-9). L’amore appassionato di Dio per il suo popolo — per l’uomo — è nello stesso tempo un amore che perdona. Esso è talmente grande da rivolgere Dio contro se stesso, il suo amore contro la sua giustizia. Il cristiano vede, in questo, già profilarsi velatamente il mistero della Croce: Dio ama tanto l’uomo che, facendosi uomo Egli stesso, lo segue fin nella morte e in questo modo riconcilia giustizia e amore.

TINA DI CELLO

LA PIANTA DELLA PAZIENZA

Un uomo duramente provato dalla vita, il quale aveva saputo mantenere sempre integra la sua serenità e il suo coraggio, sentendo avvicinarsi la fine chiamò intorno a sé i figlioli, le nuore, i nipoti e i pronipoti e disse loro: “Voglio svelarvi un segreto. Venite con me nel frutteto”. Tutti lo seguirono con curiosità e tenerezza, poiché sapevano quanto il vecchio amasse le piante. Con le poche forze rimaste e rifiutando ogni aiuto, l’uomo cominciò a zappare in un punto preciso, al centro del verziere.

Apparve un piccolo scrigno.

Il vecchio lo aprì e disse: “Ecco la pianta più preziosa di tutte, quella che ha dato cibo alla mia vita e di cui tutti voi avete beneficiato”.

Ma lo scrigno era vuoto e la pianticella che l’uomo teneva religiosamente fra le dita era una sua fantasia.

Nonostante tutto nessuno sorrise.

“Prima di morire”, proseguì l’uomo, “voglio dare ad ognuno di voi uno dei suoi inestimabili semi”.

Le mani di tutti si aprirono e finsero di accogliere il dono.

“E’ una pianta che va coltivata con cura, altrimenti s’intristisce e chi la possiede ne è come intossicato e perde vigore.

Affinché le sue radici divengano profonde, bisogna sorriderle; solo col sorriso le sue foglie diventano larghe e fanno ombra a molti.

Infine, i suoi rami vanno tenuti sollevati da terra; solo con l’aiuto di molto cielo diventano agili e lievi a tal punto da non farsi nemmeno notare”.

Il vecchio tacque.

Passò molto tempo ma nessuno si mosse.

Il sole stava per tramontare, quando il figlio maggiore rispose per tutti loro:

“Grazie, padre, del tuo bellissimo dono; ma forse non abbiamo capito bene di che pianta si tratti”.

“Sì che lo avete capito.

Mentre mi ascoltavate e mi stavate intorno, ognuno di voi ha già dato vita al piccolo seme che vi ho consegnato. E’ la Pianta della Pazienza”