incontro formativo 5 maggio 2014

COLLATIO
Dopo la recita dei vespri guidata dal Padre Assistente è ripresa la discussione sul tema proposto nell’incontro precedente, del documento finale del congresso nazionale Tom.
La pista di riflessione consegnata è:

1. Percepisco l’aspetto trinitario nel carisma minimo?
2. Mi sento totalmente inserito nell’unica fraternità minima universale(quali passi occorre ancora compiere?)
3. Come tradurre in vita quotidiana la specifica formazione minima?
4. Papa Francesco c’invita ad essere credibili per attrarre popolo nella Vigna del Signore; con il nostro carisma come renderci lievito?
Il presidente di fraternità ha proposto all’assemblea la riflessione preparata per il consiglio pastorale parrocchiale come gruppo terz’ordine, alla luce del progetto pastorale diocesano.
(Il banchetto nuziale:Mt.22,1-14 Indossiamo e custodiamo l’abito nuziale della carità)

Questa parabola, alla luce della storia di Gesù di Nazareth e della prima comunità cristiana, ci riconferma l’efficacia della Parola, la sua potenza, e, dall’altra, ci mostra l’imprevedibilità della nostra risposta e di quella delle persone. Dove si presume che il Vangelo possa trovare migliore accoglienza può essere rifiutato, dove temiamo che possa essere facilmente rifiutato, può trovare adesione gioiosa. Ogni parabola è un tipo di racconto che chiede a chi la ascolta di riconoscersi e prendere posizione.
“Ci consta di essere tra i chiamati ma non ci è noto se siamo anche tra gli eletti. È dunque necessario che ognuno di noi abbia sentimenti di umiltà proprio perché ignora se è tra gli eletti … Siccome a nessuno è dato di sapere di essere tra gli eletti, occorre che tutti siano nella trepidazione, pieni di timore per le azioni compiute, con gioiosa fiducia solo nella divina misericordia senza mai presumere delle proprie forze”,. Alla luce di quello che sappiamo (siamo tra i chiamati) con umiltà e trepidazione vogliamo verificare la nostra risposta all’invito, perché solo se abbiamo partecipato alla festa di nozze possiamo a nostra volta proporre ad altri di entrare.
La parabola ci ricorda insomma, alla luce della Tradizione, che la fede è una chiamata alla gioia di una esperienza nuziale.
Tra gli invitati che in un secondo tempo riempiono la sala, secondo il volere del Re, uno viene trovato senza veste nuziale e quindi cacciato fuori. Tutti noi siamo i chiamati, ma stiamo indossando tutti la veste nuziale?
Il desiderio di indossarla e di rendere onore allo sposo, che è Cristo, a cui siamo uniti per i sacramenti dell’iniziazione cristiana che abbiamo ricevuto, e alla sposa, la Chiesa, alla quale abbiamo la grazia di appartenere come sue membra.

Se oggi ci venisse domandato perché siamo qui, tutti, penso, potremmo rispondere: per la fede e per la volontà di servire.

È importante ripartire , ma indossare la veste nuziale della carità. Senza di essa non andiamo lontano e non si prospetta futuro. Dietro a grandissima parte delle crisi in atto nelle nostre realtà ecclesiali, parrocchiali e associative si nasconde una crisi nelle relazioni: rapporti che col tempo si logorano, un modo di amare troppo umano, solo umano, che non copre tutto, che non sopporta e non si fa carico di chi è più debole, una pazienza dal fiato corto che non è disposta a voltare pagina e a ricominciare. Del resto la parabola è chiara: nella sala del banchetto entrano buoni e cattivi. La Chiesa, e in essa la parrocchia, sono una preziosa occasione per estendere l’amore oltre il confine dei familiari.
«Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti , se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo.
Che cosa significa questo in concreto?
Prima di programmare iniziative concrete occorre promuovere una Spiritualità della comunione, facendola emergere come principio educativo in tutti i luoghi dove si plasma l’uomo e il cristiano, dove si educano i consacrati, gli operatori pastorali, dove si costruiscono le famiglie e le comunità.
Spiritualità della comunione significa innanzitutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi, e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto. Spiritualità della
comunione significa inoltre capacità di sentire il fratello di fede nell’unità profonda del Corpo mistico, dunque, come «uno che mi appartiene», per saper condividere le sue gioie e le sue sofferenze, per intuire i suoi desideri e prendersi cura dei suoi bisogni, per offrirgli una vera e profonda amicizia. Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzitutto ciò che di positivo c’è nell’altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio: un «dono per me», oltre che per il fratello che lo ha direttamente ricevuto. Spiritualità della comunione è infine saper «fare spazio» al fratello, portando «i pesi gli uni degli altri» e respingendo le tentazioni egoistiche che continuamente ci insidiano e generano competizione, diffidenza, gelosie. Non ci facciamo illusioni: senza questo cammino spirituale, a ben poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione. Diventerebbero apparati senz’anima, maschere di comunione più che sue vie di espressione e di crescita». «Gli spazi della comunione vanno coltivati e dilatati giorno per giorno, ad ogni livello, nel tessuto della vita di ciascuna Chiesa.

Se la carità è la radice del nostro agire ed il criterio di discernimento per il nostro scegliere, dove c’è carità, lì c’è Dio, e dove Dio vive si sta bene insieme. Siamo in grado di attrarre a Cristo chi non è ancora coinvolto nella vita ecclesiale .

In quali relazioni ritengo urgente investire di più perché la mia associazione e la mia comunità cristiana possano diventare sempre più un corpo unito in Cristo?

I consigli parrocchiali e tutte le occasioni di incontro sono “luoghi di comunione” . Elaboriamo progetti ai quali poi le persone ogni anno devono adattarsi e piegarsi o partiamo dai carismi e dalle reali situazioni di vita delle persone e con loro e su di loro elaboriamo progetti e percorsi? La carità di Cristo ci possiede veramente e ci spinge oltre ciò che pensiamo di poter donare o siamo sempre noi a decidere la misura del nostro impegno, della nostra responsabilità, del nostro servizio? relazioni con altre associazioni parrocchiali vicine e con altri gruppi, movimenti e associazioni?
Stando alla parabola, noi siamo chiamati anche a riconoscerci nei servi inviati a chiamare gli invitati e poi a cercare persone da invitare . Il loro servizio non si esaurisce con i preparativi ma continua nel cercare gli invitati e poi le persone stesse da invitare. I servi fanno proprio, nel cuore, il forte desiderio di chi li manda: che la sala si riempia. Se stiamo vivendo la gioia di essere amati gratuitamente da Dio per mezzo di Gesù Cristo e di servire Cristo nei fratelli, è nostro desiderio che tutti possano trovare tale gioia.

Eppure, soprattutto a livello di giovani e di adulti, quando si arriva alla ricerca di forme concrete di missione da attuare da giovane a giovane o rivolte agli adulti, ci si ferma sempre. Non ci si sente pronti, è già tanto se riusciamo a tenere in piedi l’esistente, se riusciamo a portare avanti il servizio educativo con i ragazzi … Siamo convinti dell’urgenza di un rinnovato annuncio del Vangelo ma rimaniamo bloccati nell’attuazione concreta. La parabola forse ci ricorda che possiamo aver paura di trovarci nella situazione dei servi in rapporto ai primi invitati: non solo vedono rifiutato l’invito portato, ma sono pure trattati male.

Possiamo provare ad abbozzare alcune piccole “mosse” per un rinnovato slancio missionario:

I servi sono inviati ai crocicchi delle strade, probabilmente punti di confluenza – fuori delle città –
di diverse strade o sentieri di campagna, o potremmo dire i “capolinea” di ogni strada, il confine esterno di un territorio. Si tratta di percorrere fino in fondo i sentieri della vita, ci direbbe Papa Francesco di arrivare alle periferie, di assumere gli interrogativi, le ansie, i dubbi più estremi degli uomini di questo tempo, di guardare dai confini delle nostre parrocchie o associazioni in avanti, e non indietro verso di noi.

Quanto dobbiamo muoverci per realizzare questo aspetto?

Sicuramente è bene non stare sempre seduti fisicamente e spiritualmente nella stanza dove viviamo gli incontri, ma metterci in movimento. I giovani e gli adulti , per il lavoro, le scelte del tempo libero, le situazioni affettive o di sofferenza, sono già pienamente inseriti nelle vie del mondo. Si tratta di esserci con ancora più attenzione e condivisione, di ascoltare di più la vita, di dirigere lo sguardo un po’ più al di là di come siamo abituati, di far entrare nei cammini formativi le domande, i dubbi, gli interrogativi raccolti: come si pongono oggi i giovani di fronte alla vita? Come ci poniamo noi di fronte alle loro scelte affettive? Quale rapporto oggi con il lavoro? Quale rapporto con la sofferenza e la morte? Quante famiglie in crisi o lacerate intorno a noi? Spirito del rinnovamento ritengo ci chieda di avere il coraggio di formare la nostra coscienza ed il nostro pensiero su alcune sfide di questo tempo di fronte alle quali rendere ragione della speranza che è in noi. Alla fine si tratta di tradurre il Vangelo non in termini biblici o teologici, ma con le parole della vita di ogni giorno.
-“Tutti quelli che troverete, chiamateli alle nozze”. Così chiede il Re ai servi.
“Una coscienza missionaria, legata alla vita di ogni giorno, ha bisogno di grande cura sul piano formativo: tanti cristiani sono ancora convinti che gli impegni della vita cristiana si giocano nelle <>, oppure che la fede serve a rispondere ai bisogni personali, senza porsi in rapporto con la vita degli altri e con le loro domande”. Il nodo è proprio questo: l’intreccio tra formazione e missione, la formazione di una coscienza missionaria per la vita di ogni giorno.

Quali requisiti dovrebbe avere tale coscienza missionaria?

Da questa parabola possiamo evidenziarne due: l’ascolto attento della vita delle persone e la capacità di relazionarsi con chiunque, in ogni situazione, non limitandoci alle questioni catechistiche e pastorali. Non ci sono situazioni in cui non sia possibile annunciare il Vangelo o dalle quali non sia possibile intraprendere un cammino di santità. Forse qualche volta è capitato che nei nostri gruppi si siano affacciati qualche adulto nuovo, qualche nuova coppia, qualche giovane interessato non perché gli è stato chiesto un servizio educativo, ma per una ricerca personale di fede, qualche nuovo giovane o adulto tribolato ed in cerca di un senso alla sua sofferenza e di consolazione. Il loro ingresso ha cambiato qualcosa nel pensare la formazione del gruppo? Oppure si è andati avanti come sempre, seguendo la guida e esigendo da chi è nuovo di adattarsi? Chi è riuscito ad adattarsi è rimasto, chi non ce l’ha fatta è uscito:

Per la formazione di una coscienza missionaria per la vita quotidiana aggiungerei un altro elemento ed un esercizio per gli animatori dei gruppi giovani e adulti.
L’elemento è la flessibilità in base alle situazioni esistenziali di chi inizia un cammino , magari per ricominciare proprio un cammino di fede.
Non si tratta di semplice accondiscendenza, nel qual caso è difficilmente applicabile alla progettazione di un cammino formativo (come accondiscendere alle esigenze di tutti!), ma di rimanere fedeli alla centralità della persona, criterio qualificante la vita della parrocchia.
L’esito finale è l’inserimento in un normale gruppo associativo: noi spesso prendiamo l’esito come punto di partenza.
-“buoni e cattivi”. Esiste un peccato mortale non solo in sé, ma soprattutto nei confronti dell’annuncio del Vangelo: il giudizio. La Parabola in questo senso è chiara: non sta ai servi giudicare in nessun modo, solo il Re, che guarda al cuore e non alle apparenze , può pronunciare il giudizio sull’abito di quell’invitato. Ai servi è chiesto di chiamare, invitare, accompagnare, incoraggiare, esortare con molta pazienza … Noi non riusciamo a percepire sempre il giusto confine tra il giudizio su scelte oggettive, condivisibili o meno, e il giudizio sulle persone. Talvolta ciò che ferisce non è tanto il far presente a chi vive certe situazioni particolari cosa chiede la Chiesa, i suoi eventuali no, ma il far trasparire da queste parole un nostro atteggiamento di condanna. Guai a giudicare, si compromette ogni possibilità per il passaggio dell’invito.
Una coscienza missionaria per la vita quotidiana conduce ad un modo di essere presenti nella storia e di porsi nei confronti di una cultura, anche quando essa non è in sintonia con il Vangelo e dalla parte del bene delle persone.
La parabola evangelica della festa nuziale cui invitare tutti ci suggerisce che una coscienza missionaria nella vita quotidiana è creativa, coraggiosa: non ha timore a questo punto di spendersi in iniziative particolari e nuove di annuncio del Vangelo da giovane a giovane, di coinvolgimento delle famiglie nella riscoperta e nella narrazione della fede, di accompagnamento nella fede di persone divorziate-risposate o di situazioni particolari di sofferenza.
Soprattutto la famiglia del nostro tempo vive l’esperienza della notte attraverso una svalutazione senza precedenti, immersa com’è in una cultura di morte incentrata sul pensiero materialista e radicale, in definitiva inumano, che ha spezzato quel processo secolare di trasmissione della fede di intere generazioni. Questa società malata e prigioniera di un peccato “strutturale” ha ancor più bisogno, oggi, della luce del Vangelo.

L’impegno primario resta la formazione di una coscienza missionaria per la quotidianità che passa anche per le esperienze particolari ora auspicate. Tutto questo può scaturire se nel nostro cuore coltiviamo un sogno sul nostro paese, sulla nostra comunità cristiana, sulla nostra associazione parrocchiale e diocesana, sulla nostra vita e quella delle nostre famiglie che è un modo di andare incontro al futuro che Dio ci sta aprendo.
La buona notizia per tutti noi è che il banchetto nuziale è pronto, siamo tra i chiamati per un’esperienza di amore e di gioia.
Gennaro Calidonna
L’argomento molto interessante e ampio, richiede ulteriore approfondimento, scambi di idee e ricerca di strategie per la realizzazione, pertanto saranno programmati interventi mirati.

L’incontro è stato concluso da Padre Antonio Casciaro con la preghiera conclusiva.
Tina Di Cello

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